Lavori al Senato? Meriti un premio

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ROMA — L’ex senatore Gustavo Selva l’ha bollata un giorno «indennità  di Palazzo». Mai definizione è stata più azzeccata per descrivere il capitolo 1.6.4 del bilancio di palazzo Madama. Dove c’è scritto «Personale di altre amministrazioni ex enti che forniscono servizi in Senato», accanto a una cifra: 3 milioni 570 mila euro. Tanto la Camera alta ha stanziato nel 2011 per arrotondare le paghe di tutte quelle persone che non ne sono dipendenti, ma lavorano lì. Innanzitutto le forze di polizia. «Un numero che non sono mai riuscito a conoscere nei 14 anni in cui sono stato deputato e senatore», confessò lo stesso Selva a Libero qualche tempo fa, argomentando tuttavia che quella «indennità  di palazzo» spettante a poliziotti e carabinieri in servizio, appunto, nei palazzi del potere «dovrebbe essere riconosciuta piuttosto a chi fa servizio di strada per combattere la criminalità ».
La cifra è ovviamente diversa a seconda dei gradi di responsabilità . L’«indennità  di Palazzo» concessa alle forze di polizia oscilla da un minimo di 200 euro lordi al mese per i piantoni a un massimo di 2.500 euro per i gradi apicali. Poi ci sono i pompieri: da 300 a 2 mila euro. Quindi i vigili urbani: da 150 a 500 euro. E i dipendenti dell’ufficio interno di Poste italiane: da 200 a 1.000 euro. E già  il fatto che un lavoratore dipendente debba avere una retribuzione aggiuntiva da un’amministrazione diversa dalla sua per fare lo stesso lavoro che qualunque suo collega meno fortunato svolge altrove in condizioni certamente più disagiate, soltanto perché è nel cuore del potere, è abbastanza curioso. Ma che all’indennità  abbiano diritto anche alcuni privati è addirittura sorprendente. Parliamo dei dipendenti dello sportello bancario interno gestito da Bnl del gruppo Bnp Paribas (da tempo immemore si è in attesa di una gara), ai quali toccano da 400 a 750 euro lordi al mese. Come pure di quelli dell’agenzia di viaggi di palazzo Madama, affidata alla Carlson Wagonlit, i quali più modestamente si devono accontentare di 300-400 euro mensili. Briciole. Che però non toccano, per esempio, ai dipendenti del ristorante finiti in cassa integrazione dopo l’aumento dei prezzi del menu che ha provocato il tracollo del fatturato. 
Sia chiaro: di questo stato di cose non sono certo responsabili i lavoratori. Ma che l’«indennità  di Palazzo» rappresenti una singolare anomalia è chiaro da tempo: almeno da quando, dopo un ordine del giorno voluto nel 2009 dall’ex leghista Piergiorgio Stiffoni, quella voce avrebbe subito in alcuni casi un taglio del 10%.
Del resto, chi si ostina a difendere quel piccolo privilegio va compreso. Il livello delle retribuzioni del Senato continua a essere tale da mortificare gli «esterni» che lavorano a palazzo Madama e dintorni. Lo scorso anno gli stipendi del personale, comprese indennità  varie, hanno toccato 134 milioni e mezzo di euro. Ovvero, 149.300 euro in media per ciascuno dei 901 dipendenti. Quasi il quadruplo della retribuzione media di un dipendente della Camera dei comuni britannica. Ma chi ha l’ingrato compito istituzionale di fronteggiare le offensive sindacali al tavolo delle trattative qui non deve avere vita facile. Anche se è un sindacalista poco arrendevole, a giudicare da come ha reagito alla sua espulsione decretata dal Carroccio: si tratta di Rosi Mauro, vicepresidente del Senato nonché presidente del sindacato «padano». Di sigle sindacali, davanti, ne ha 14. Quattordici per 901 dipendenti. In media, se tutti quanti avessero una tessera in tasca, 64 iscritti a sigla. In media, appunto. Perché per 49 stenografi esiste un «sindacato tra gli stenografi parlamentari» e un’«associazione resocontisti stenografi parlamentari». C’è poi l’«associazione fra i funzionari», l’«associazione consiglieri parlamentari», il «sindacato quadri parlamentari» e il «sindacato coadiutori parlamentari». Senza parlare dell’«organizzazione sindacale autonoma-Senato», dell’«associazione tra gli assistenti parlamentari del Senato», del «sindacato dei dipendenti del Senato», dell’«associazione sindacale intercategoriale del Senato» e dell’«associazione dipendenti Senato». E per finire con Cgil, Cisl e Uil. 
La ciliegina: nonostante queste paghe stellari e il nutrito gruppo di espertissimi consiglieri (117), il Senato ha comunque speso 2,3 milioni di «consulenze per il Consiglio di presidenza e i presidenti» (capitolo 1.6.2) e quasi due milioni di «Prestazioni professionali per l’amministrazione».


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