Laici, sindacati e sinistra ai margini pericolosamente

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E se, come sembra quasi certo, Morsy avrà  la meglio, sarà  stato in parte anche grazie ai consensi già  riscossi al primo turno dal nasseriano di sinistra Hamdin Sabbahi e dagli altri rappresentanti della sinistra, oltre che dai sostenitori dell’ex fratello Abul-Futuh. Difatti, l’ennesima polarizzazione scaturita dal ballottaggio e l’abuso sistematico della «Rivoluzione», soprattutto da parte del candidato islamista, corrono il rischio di far dimenticare che nessuno dei due finalisti rappresenta la gran parte delle istanze alla base della Rivoluzione del gennaio 2011 e delle ondate successive. 
E così, mentre il Consiglio militare (lo Scaf) si è già  riservato nella nuovissima dichiarazione costituzionale, e grazie alla complicità  del potere giudizario, un ruolo egemonico nel sistema politico egiziano, resta da chiedersi quali siano le prospettive a breve e medio termine del «terzo blocco». Innanzitutto, bisogna essere cauti nell’affermare la presenza di una siffatta alleanza di forze più o meno scaturite dalla Rivoluzione, nonostante l’iniziativa di alcuni partiti laici, guidati da Karama di Sabbahi, di formare un fronte laico contro il duopolio islamisti-militari. Difatti, la performance di Sabbahi aveva creato un certo entusiasmo sull’esistenza di una maggioranza relativa pro-Rivoluzione, distinta dall’opportunismo rivoluzionario dei Fratelli e dal clamoroso passo indietro invocato da Shafiq. 
Tuttavia, senza peccare di pessimismo, non si può non tenere presente che non tutti i voti per Sabbahi erano ideologicamente orientati, come dimostrato dal fatto che in alcuni governatorati, a cominciare dal Cairo, parte del voto troppo frettolosamente etichettato come «rivoluzionario» si sarebbe spostato verso Shafiq in mera chiave anti-islamista. Bisogna essere cauti nel ritenere che la propaganda e la pratica antirivoluzionarie, messe in atto coscientemente dallo Scaf e, con meno decisione ma altrettanta efficacia, dai Fratelli musulmani, troppo a lungo impegnati a non contraddire l’elite militare, abbiano lasciato la popolazione egiziana indenne, con un dibattito politico del tutto insufficiente e troppo spesso appiattito su questioni poco rilevanti (es.: l’autorizzazione ai vigili a potare la barba lunga) o virtuali (la rottura del trattato di pace con Israele). Così, mentre la controrivoluzione organizzava la riscossa, le forze rivoluzionarie, divise e con una singolare allergia alla leadership, hanno mancato molti appuntamenti importanti, il più grave dei quail è stato senz’altro quello di presentarsi separate alla competizione elettorale, dopo avere accettato di parteciparvi, nonostante la lugubre ombra proiettata dallo Scaf.
Un terzo blocco che voglia costituire una reale alternativa all’elettorato di Shafiq e Morsy deve identificare inannzitutto il suo elettorato e iniziare a riarticolare le istanze della Rivoluzione che sono state «dimenticate» o opportunisticamente solo nominalmente incorporate dai due finalisti. Ciò significa innanzitutto una paziente opera di riavvicinamento alle classi subalterne che di più avevano sperato in un reale cambiamento sociale ed economico nel Paese, oltreché politico, e che si sono invece trovate a dovere rinunciare al voto, o a scegliere tra «il minore dei due mali». 
Una parte di queste forze sociali si è già  dotata, o si sta dotando, di forme organizzative, come sindacati autonomi, associazioni di quartiere o villaggio, ma manca ancora un raccordo con le forze politiche, ed è da qui che bisogna riprendere a lavorare, se non si vuol rischiare di essere meri spettatori o comparse, nel possibile conflitto tra regime ed islamisti, o peggio, ancora vittime di un loro nuovo eventuale accordo.
*Docente di scienze politiche alla British University in Egitto
**Docente di scienze poltiche e relazioni internazionali alla Univesrity di Aberdeen (Scozia)


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