La strategia per l’uscita indolore

by Editore | 25 Giugno 2012 8:44

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C’è un frame nel film del giorno più lungo del Cairo che merita di essere isolato, quello in cui il generale Tantawi, capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate (Scaf), si complimenta con il nuovo presidente Morsi archiviando in apparenza la lunga guerra fredda tra l’esercito egiziano e i Fratelli Musulmani. Lo scontro sembra per ora scongiurato. Ma dietro gli insoliti convenevoli ufficiali si celano pile di libri, consulenze straniere, contatti confermati ora da ambo le parti, una rete di convergenze parallele destinata a restare sullo sfondo come opportunità  e come minaccia.
«Mi risulta che i militari si siano rivolti a esperti di controrivoluzione per studiare le esperienze di altri Paesi, in particolare il Cile di Pinochet in cui l’esercito aveva partecipato alla dittatura ed era sotto accusa» racconta Sadek Samer, analista dell’American University Cairo. Le analogie tra il lungo processo a Pinochet e quello all’ex Faraone, compresi i ricorsi e la salute precaria dell’imputato, potrebbero aver indicato allo Scaf una exit strategy «indolore» alla crisi.
«È ovvio che i generali egiziani studino il Cile, un caso in cui il processo al regime si è chiuso con la morte dell’ex presidente lasciando la vecchia struttura al suo posto» conferma Ammar Ali Hassan dell’Al-Ahram Center for Political and Strategic Studies.
Tra i manuali consultati dallo SCAF in realtà , non ci sarebbero solo quelli sulla controrivoluzione in Sudamerica ma anche in Europa dell’Est, un’esperienza che a suo tempo, sul fronte opposto, aveva ispirato i giovani di piazza Tahrir, avidi lettori dei diari di Otpor, gli attivisti della resistenza a Milosevic.
«I regimi arabi hanno molto in comune con quelli sovietici tipo Romania e Jugoslavia: lo stesso Mubarak parla russo» continua il professor Samer. Il ritardo dei risultati e la guerra psicologica tra esercito e Fratelli Musulmani rivela l’urgenza di guadagnare tempo. La partita si gioca contro il caos: «Quella egiziana è un misto di rivoluzione popolare e golpe militare, una storia ancora da scrivere anche perché il mondo musulmano ha conosciuto finora solo 32 anni di democrazia, tra Maometto e il 4° califfo». Che tra venerdì e sabato i due titani d’Egitto si siano più volte incontrati non lo nega nessuno. «Ci siamo parlati» ammette alla Reuters Khairat al Shater, stratega finanziario dei Fratelli Musulmani e vero uomo forte del movimento. «Era necessario assicurare un processo politico equilibrato» aggiunge il generale dello Scaf Mamdouuh Shaheen. Elezioni negoziate? Impossibile dirlo. Ma di certo tra Tahrir stracolma di gente e la pressione americana sull’esercito era necessario far quadrare il cerchio.

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