by Editore | 14 Giugno 2012 6:40
All’estremo orizzonte della grande congiura, là dove i poteri sono immaginati così forti da permettersi una rappresentazione
hard-boiled, le “forze dell’ombra” sono guidate da persone la cui sovranità sui destini del mondo sarebbe certificata da speciali risorse biologiche. O almeno: si legge in Politica occulta di Marco Dolcetta (Castelvecchi, 1998) che uno dei maggiori e più convinti complottologi, Maurizio Blondet, pose in relazione l’eterna giovinezza di alcuni celebri banchieri con “patti magici” stretti in altissime cerchie. E qui l’argomento si fa un tantino imbarazzante perché il trasferimento della forza vitale avverrebbe, per così dire, all’interno di liturgie sessuali solitarie però anche collettive; e quel che ne deriva in termini organici, “mercurio vivo”, “umore radicale”, insomma, la forza del potere sarebbe garantita da un’assunzione, pure di gruppo – e anche senza soffermarsi sui particolari tecnici, si comprenderà che la politica è molto lontana da tutto ciò, però anche s’intuisce che questa storia dei Poteri Forti è tale da incendiare l’immaginario.
Sull’orizzonte opposto, del resto, è ben radicata la più rigida scuola negazionista. I poteri forti sono una balla e un pretesto; una speranza e un’arma, spesso un modo per vendere più copie. “Dietro” non c’è nulla, solo elucubrazioni di menti malate. Niente oligarchie, niente massonerie, niente consorterie, niente Opus Dei, niente segreti di Fatima, niente Trilateral, niente Bilderberg, dove peraltro l’onorevole Borghezio, cospirazionista provetto, è andato a disturbare i lavori e ha preso un fracco di botte. Ciò che determina la storia sono le idee e gli interessi. La democrazia è quanto di più razionale l’uomo ha prodotto. I cittadini votano e le elezioni stabiliscono le maggioranze e i cicli politici. E così sia.
Tra le due opzioni ultimative, nel mezzo della vicenda italiana si dispone con geometrica e risoluta ambiguità la retorica dei poteri forti. Nel senso che non è mai capito bene cosa siano, ma proprio per questo, e ancora di più proprio in quanto retorica, seguitano ad esercitare la loro oscura e conclamata suggestione.
La formula è abbastanza recente e per una generazione di giornalisti ha origine nel disvelamento della P2 (1981). In effetti, non era cosa normale, né sana, scoprire un gruppo di po-litici, generali, banchieri, editori legati in una specie di Stato parallelo e vagamente criminogeno assemblato da un ex materassaio. Forse un’accolita di affaristi, forse una rete di sicurezza da guerra fredda, forse entrambe. Eppure erano ancora “poteri occulti”.
Da “occulti” a “forti” corrono dieci anni. Nel frattempo, alla P2 e alla massoneria si aggiunsero in ordine sparso: la Chiesa, l’America, l’alta burocrazia, la grande finanza, i servizi segreti e perfino la mafia. Nel 1991 De Mita accusò il banchiere Cuccia di essere dietro i referendum di Segni; lo stesso anno il socialista Formica disse: poteri forti. Il crollo della Prima Repubblica fu vissuto come la prova del loro operato; l’avvio dei governi tecnici come il loro sigillo; le privatizzazioni decise dai “British Invisibles” sul panfilo “Britannia” come un minaccioso biglietto da visita. Nel 1994 Pinuccio Tatarella, assurto alla vicepresidenza di Berlusconi, ci mise il carico da undici estendendo i poteri forti a Bankitalia, Csm e Corte costituzionale.
Da allora non si è più smesso di temerli invocandoli, dalla guerra di Libia ai posteggi intorno a Montecitorio. A novembre Monti ha respinto l’addebito qualificandolo “offensivo”; l’altro giorno ci ha scherzato su. O forse non scherzava, ma intanto i poteri forti gorgogliano nel pentolone dell’identità nazionale.
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