LA POLITICA E I SUOI NEMICI

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Oltre ai tre grandi partiti di massa, avrebbe detto Alcide De Gasperi nel 1947, vi è anche un “quarto partito” la cui influenza non si basa sui voti ma sul denaro e sul potere economico. Ne riferiva più o meno così il dirigente comunista Emilio Sereni: probabilmente forzava un po’ il senso e le parole ma nell’estromissione delle sinistre dal governo quel nodo certamente pesò, e non fu il solo. Nello scenario internazionale prendevano corpo allora le divisioni della guerra fredda, mentre sul piano interno la trasformazione democratica del Paese era frenata dal tenace permanere di uomini e apparati forgiati o cresciuti negli anni del fascismo (quella “continuità  dello stato” che Claudio Pavone ha analizzato con finezza). Ancora nei primi anni Sessanta, del resto, la stagione riformatrice del centrosinistra vide all’opera molteplici e multiformi “poteri di condizionamento”. Vi fu il “rumore di sciabole” del Piano Solo del generale De Lorenzo e, sul terreno economico, l’opposizione aperta della Confindustria, in un clima di allarme che alimentò anche una massiccia fuga di capitali. Vi fu l’azione del Governatore della Banca d’Italia Guido Carli, secondo cui la “prepotenza nazionalizzatrice del centrosinistra” metteva in pericolo la proprietà  privata. Carli trovò solido riferimento nel ministro del Tesoro Emilio Colombo
che in una lettera al Presidente del consiglio Moro (fatta poi filtrare tramite un quotidiano) considerava le “dogmatiche riforme di struttura” come un “pericolo mortale” non solo per l’economia ma anche per la democrazia. Contro la riforma urbanistica proposta dal ministro Sullo entrarono poi in campo – e vinsero – gruppi economici e di interesse, affiancati da una mobilitazione d’opinione contro la “nazionalizzazione della casa” che utilizzò anche la “macchina del fango” contro Sullo.
Negli anni successivi il ruolo potenzialmente innovativo e di stimolo allo sviluppo dell’industria pubblica fu gravemente minato dalla “razza padrona” dei manager di stato, e da quelle reti di interscambio con i partiti e le loro correnti che ne hanno distorto fini e metodi, sino al degrado e al crollo. Dagli anni Settanta, infine, la crisi crescente della “repubblica dei partiti” aprì la via anche ai “poteri oscuri” e a quelle ragnatele di relazioni cui rinvia lo stesso “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli. I poteri istituzionali che difesero la legalità  e la trasparenza pagarono talora alti prezzi: si pensi all’offensiva politico-giudiziaria del 1979 contro Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, Governatore e vicedirettore della Banca d’Italia, il cui rigore e la cui correttezza erano di ostacolo all’operare dell’Italcasse e del Banco Ambrosiano, dei Caltagirone e dei Sindona (in quello stesso anno fu assassinato Giorgio Ambrosoli, che era stato nominato liquidatore della Banca Privata di Sindona).
Altre relazioni ancora, di diversa natura, si delinearono negli anni Ottanta, nello sfasciarsi di potentati ormai decrepiti e nell’emergere di nuovi. Nel 1994 la discutibile denuncia dei “poteri forti” fatta dall’onorevole Tatarella, ministro delle Telecomunicazioni nel primo governo Berlusconi, prese spunto dal divieto del Garante dell’Editoria a spot governativi palesemente illeciti: quattro anni prima un colpo di mano per salvare gli spot pubblicitari nei film aveva cementato l’alleanza fra il Caf (Craxi, Andreotti e Forlani) e il padrone della Fininvest, con le forzate dimissioni di cinque ministri. Immediatamente rimpiazzati senza batter ciglio.


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