La Libia arresta la Corte penale

by Editore | 12 Giugno 2012 14:35

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Incarcerati per 45 giorni. Una delegazione della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja è stata improvvisamente arrestata nel fine settimana a Zintan, nelle montagne occidentali del Nafusa, mentre si intratteneva con Seif el Islam Gheddafi, il figlio secondogenito dell’ex rais libico detenuto dal novembre scorso nel paese e sotto accusa anche alla Cpi. 
I quattro delegati sono stati bloccati e accusati di spionaggio e minaccia alla sicurezza nazionale libica. In particolare l’accusa è stata rivolta all’australiana Melissa Taylor, l’avvocato designato dalla Cpi per difedere Seif, che avrebbe passato delle lettere a Seif da parte del suo ex braccio destro, oggi in Egitto, Mohammed Ismail. Secondo il racconto fatto da Ahmed el-Jehani, avvocato libico incaricato di garantire il tramite tra la Cpi e il governo di Tripoli, Melissa Taylor sarebbe stata trovata con una telecamera nascosta in una penna e con varie lettere scritte in codice per il prigioniero da parte del suo ex collaboratore. Avrebbe anche cercato di farsi firmare una lettera in cui Seif-el Islam chiedeva di essere estradato all’Aja «perché la Libia non è uno stato di diritto». 
La Cpi ha immediatamente inviato un’altra delegazione per negoziare il rilascio dei quattro membri – ma la situazione sembra compromettersi sempre di più con il passare del tempo.
L’incidente esacerba una già  fortissima tensione tra il governo libico e la Corte penale, che non riescono a trovare un accordo su dove e come Seif el islam dovrà  essere processato. Il procuratore dell’Aja Luis Moreno Ocampo sta cercando disperatamente di ottenerne l’estradizione dell’imputato, ma la Libia (che non ha mai firmato il Trattato di Roma e non riconosce la Cpi) vuole invece processarlo nel paese. Le trattative sono andate avanti mesi, in una situazione sul terreno parecchio caotica, in cui il Consiglio nazionale transitorio – Cnt, il governo libico – ha sempre meno credibilità  e il paese appare suddiviso in varie aree di competenza. La stessa vicenda della detenzione di Seif è a questo proposito emblematica: catturato a novembre nel sud del paese dai combattenti di Zintan, il figlio dell’ex rais è da allora detenuto in questa piccola cittadina sulle montagne del Nafusa. I combattenti del luogo rifiutano di consegnarlo alle autorità  di Tripoli, sostenendo che non si fidano. In realtà , in gioco vi sono diverse poste, fra cui il rapporto di forza e di influenza che i vari potentati locali potranno giocare nella nuova Libia del dopo-Gheddafi, come dovrà  uscire dalle elezioni dell’Assemblea costituente – previste per la settimana prossima ma rinviate al 7 di luglio.
Le dichiarazioni e le smentite di questi ultimi du giorni rispetto all’arresto della delegazione della Cpi non fanno altro che confermare questa situazione di scontro di potere tra i gruppi locali e un governo centrale che gode di scarsa credibilità . A quanto ha raccontato all’agenzia Reuters il capo della brigada militare di Zintan, dopo l’arresto «abbiamo ricevuto varie telefonate dal governo che ci ordinavano di liberarli. Ma noi, in quanto nazionalisti, ci siamo rifiutati di eseguire l’ordine», ha detto Alajmi Ali Ahmed Al-Atiri. 
Alla fine lo stesso governo ha dovuto accettare l’arresto e difendere la decisione. Un portavoce del primo ministro Abdurrahim El-Keib ha menzionato motivi di «sicurezza nazionale». «Le relazioni tra al Libia e la Cpi non possono essere portate avanti a scapito dei più alti interessi della Libia e non possono permettere violazioni o minaccie alla sicurezza nazionale», ha sostenuto.

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