La lettura rende liberi. Oppure no?

by Editore | 23 Giugno 2012 16:39

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Non a caso, scrive la studiosa nell’introduzione, nei secoli molti hanno definito l’atto di leggere da parte delle donne come «sovversivo e minaccioso», dal momento che esso comporta «un dialogo impegnativo, quasi sconcertante, con il proprio io interiore» e dunque aiuta a «definire il senso di sé e della vita». Niente di rivoluzionario, commenta Noah Berlatsky, sull’«Atlantic»: la lettura, e non solo per le donne, «è spesso vista come una pratica intrinsecamente liberatoria, capace di conferire potere e forza». Ma, si chiede Berlatsky, «siamo sicuri che questo sia vero?». E a Belinda Jack contrappone il punto di vista di Tania Modleski, autrice nel 1982 di uno studio, «Loving with a Vengeance», classico nel suo genere: secondo Modleski, i romanzi rosa Harlequin, come le saghe gotiche o le «soap operas», non hanno nulla di liberatorio, ma tendono anzi a riconciliare le donne con un sistema di fatto patriarcale. Più di recente, nota ancora Berlatsky, Allison Benedikt su «Slate» ha criticato le pubblicazioni – sempre più numerose, sempre più minacciose – rivolte alle donne incinte, «testi buoni per un sistema capitalistico che mira a indurre frenetici e terrorizzati acquisti di prodotti per bambini». Insomma, conclude Berlatsky, posto che tutte e tutti dovrebbero poter leggere quello che vogliono senza censure di nessun tipo, «la lettura è solo una tecnologia, e come ogni tecnologia può essere usata bene o male… Accettare di leggere senza una distanza critica lascia lettrici e lettori alla mercé di chi scrive, e questo non è molto liberatorio». E se fosse davvero così?

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