Kabul trova amici a Pechino

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In Afghanistan la Nato ha fallito e il disastro umano, militare e politico causato dagli Stati uniti e dai loro alleati rischia di alimentare instabilità  e galvanizzare i movimenti islamisti in Asia centrale. E mentre le truppe degli Stati uniti si preparano a lasciare l’Afghanistan nel 2014, la Cina e la Russia si fanno avanti: il futuro del piccolo paese centroasiatico infatti è uno dei temi al centro del vertice dell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai (Sco), che rivendica un ruolo di primo piano nella «pacificazione» di Kabul e dintorni.
Il vertice della Sco – l’organizzazione regionale di cooperazione militare della quale fanno parte Cina Russia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, e Uzbekistan – si è aperto ieri a Pechino alla presenza, tra gli altri, del presidente afghano Ahmid Karzai, del pakistano Asif Ali Zardari e di quello iraniano Mahmoud Ahmadi Nejad (l’Iran è membro «osservatore», come anche il Pakistan e l’India: possono partecipare ma senza diritto di voto). 
Il presidente cinese Hu Jintao, ha rivendicato per la Sco «un ruolo più ampio nella ricostruzione pacifica dell’Afghanistan». Il giorno precedente, funzionari del governo di Kabul – a cui presto sarà  dato lo status di «osservatore» – avevano dichiarato all’agenzia Reuters che l’Organizzazione intende, in vista del ritiro dell’esercito Usa, aumentare il suo impegno nel paese, andando oltre il rafforzamento dei legami economici. Una prospettiva che urta contro la tradizionale riluttanza di Pechino a spedire all’estero le sue truppe. Hu, in un’intervista al Quotidiano del popolo – l’organo ufficiale del Partito comunista cinese – ha spiegato che «noi (gli Stati membri della Sco) rafforzeremo la comunicazione, il coordinamento e la cooperazione nell’affrontare le principali problematiche internazionali e regionali». Il portavoce del ministero degli esteri, Liu Weimin, ha chiarito che la cooperazione che Pechino vuole intensificare con Kabul è nei campi delle «risorse, delle infrastrutture, dell’energia e dell’addestramento». 
Karzai da parte sua a Pechino ha detto che il suo paese «espanderà  e rafforzerà  la cooperazione con la Cina» e annunciato che per oggi è attesa la firma di un accordo preliminare di «partnership strategica» tra i due paesi. 
Martedì Hu aveva accolto il presidente russo Vladimir Putin, col quale ha firmato una serie di accordi che aumentano gli obiettivi economici e strategici comuni tra Cina e Russia. Il presidente cinese ha sottolineato che è necessario «fissare l’ordine politico ed economico globale in una direzione più giusta e razionale». È evidente che ormai la Cina – su alcuni scacchieri finora limitati, in maniera graduale e attraverso le opportune alleanze – si presenta come protagonista di un ordine internazionale se non «alternativo», in alcuni casi «antagonista» di quello statunitense.
Secondo i media cinesi, Putin ha promesso a Hu anche una maggiore cooperazione militare sullo scacchiere Asia-Pacifico, dove si stanno intensificando gli attriti con gli Stati Uniti. Pechino e Mosca hanno respinto ogni ipotesi d’intervento militare in Siria. Dopo che i «ribelli siriani» hanno dichiarato di non sentirsi più vincolati alla tregua sponsorizzata dalle Nazioni Unite e hanno rivendicato sanguinosi attacchi contro l’esercito di Damasco, Hu e Putin hanno ribadito il loro sostegno all’iniziativa di pace di Kofi Annan. Al di là  di risultati, finora pochi, ottenuti dall’inviato dell’Onu e della Lega araba, l’opposizione di Pechino e Mosca segnala che, dopo aver dato l’ok all’attacco contro la Libia di Gheddafi, i due alleati su Damasco (per Mosca un partner strategico) non sono disposti a fare concessioni.
Pechino e Mosca mirano a più che raddoppiare il loro interscambio commerciale entro il 2020, portandolo dagli attuali 83,5 miliardi di dollari (nel 2011) a 200 miliardi di dollari. A questo fine hanno annunciato il raggiungimento di una decina di accordi commerciali, tra cui una joint venture per la progettazione di aerei civili intercontinentali. E la creazione di un fondo con una capacità  di circa 5 miliardi di dollari – frutto della collaborazione tra il fondo sovrano di Pechino «China investment corporation» e del «Russian direct investment fund», il suo omologo russo – per incanalare gli investimenti cinesi in Russia.


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