ITALIANI ALLO SPECCHIO

by Editore | 18 Giugno 2012 6:06

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Per buona parte degli ultimi vent’anni osservare l’Italia dell’estero – in minor misura gli italiani – è stata dura. Per lo più ciò era dovuto a un personaggio, Silvio Berlusconi, che ha dominato non soltanto nei media e in politica, ma anche nell’immaginario di un paese rappresentato una volta di più nell’iconografia globale da pasta e pizza, Loren e Mastroianni, Lampedusa ed Eco e, fuori dal tempo, Michelangelo e Leonardo da Vinci.
L’opinione che ci si è fatti all’estero dell’Italia è stata alimentata da due fonti principali. Una, minore, è quella degli espatriati italiani: quelli che vanno a vivere e lavorare all’estero, e che negli ultimi decenni per lo più provenivano – più che dalla classe operaia meridionale come durante l’emigrazione prebellica – dalle fasce intellettuali e professionali della popolazione, alla ricerca di ambienti più gratificanti nei quali lavorare. I primi esempi di questo genere furono relativamente positivi: il famoso libro di Luigi Barzini
Gli italiani(
Rizzoli) vide molti difetti negli italiani, come pure molteplici virtù, anche se, teneramente e tristemente, l’autore giudicava che «la vita italiana, sotto la sua superficie scintillante e vivace, abbia una qualità  fondamentale di amarezza, disappunto, e infinita malinconia
». Adesso, tuttavia, l’amarezza della quale scriveva Barzini è venuta tutta in primo piano. Coloro – soprattutto gli intellettuali – che lasciano il loro paese, qualunque esso sia, hanno un interesse acquisito nell’essere pieni di malignità  nei
confronti del paese dal quale provengono: dopo tutto devono giustificare un gesto che alcuni dei loro compatrioti potrebbero considerare alla stregua di una defezione. Lo scrittore britannico Martin Amis, emigrato di recente negli Stati Uniti, ha detto che il Regno Unito è in «uno stato di decrepitezza morale» ed è ormai «una potenza di secondo o terz’ordine». Amis è stato molto criticato per le sue parole. Ma gli italiani riescono a essere ancora più duri nei confronti del loro paese.
Maurizio Viroli, che oggi insegna scienze politiche a Princeton negli Stati Uniti ed è una’autorità  mondiale indiscussa su Machiavelli, ne parla con tono molto simile nel suo ultimo libro
La libertà  dei servi
(Laterza), pubblicato in inglese all’inizio di quest’anno come
The Liberty of Servants
(Princeton). In esso, l’autore vede gli italiani come “servi” di Berlusconi – liberi di fare, scrivere, leggere e pensare tutto quello che desiderano, ma «in condi-
zione di dipendenza (da Berlusconi) e quindi in definitiva di suoi servi».
In un paragrafo dell’introduzione, scritto per l’edizione in lingua inglese, Viroli riporta questo pensiero straordinariamente duro e pessimista al riguardo dei suoi compatrioti: «Noi (italiani) soffriamo di un malessere morale, che ci affligge da secoli. A eccezione di una piccola élite che ha dato dignità  alla nostra storia, siamo privi del significato di libertà  morale ». Viroli riporta una citazione tratta dal libro di Carlo Rosselli del 1928 (
Socialismo liberale,
Einaudi) per affermare che «secoli di servitù hanno fatto sì che l’italiano medio oscillasse tra l’atteggiamento servile e la rivolta anarchica. È carente del concetto di vita come fatica e missione, del concetto di libertà  come dovere morale, e della consapevolezza dei limiti propri e altrui». Conclude poi con questo terribile verdetto: «Berlusconi è sicuramente inadatto a governare una repubblica democratica, ma noi italiani – dobbiamo ammetterlo – siamo inadeguati per la libertà ».
Esce ora in inglese un esempio del flusso molto più ampio di commenti sull’Italia, quello di uno straniero. Bill Emmott è stato il direttore dell’Economist (1993-2006) che nel 2001 ha pubblicato la famosa copertina nella quale proclamava – senza mezze misure e senza riserve, che Berlusconi non era adatto a governare l’Italia. Ed è ritornato sullo stesso argomento più volte durante il suo mandato di direttore. Nel 2010 ha scritto un libro, pubblicato soltanto in italiano e intitolato
Forza, Italia
(Rizzoli) nel quale si è focalizzato sulla descrizione dell’Italia “buona”, quella che ha un crescente numero di persone, soprattutto giovani, che al sud e in Sicilia tengono testa alla criminalità  organizzata; quella delle aziende sparse in tutta la penisola in grado di sbaragliare la concorrenza internazionale; quella che con sforzo e impegno cerca di riformare il lento corso del sistema della giustizia e molto altro ancora.
Questo mese Emmott ha pubblicato un altro libro – in in-
si intitola
Good Italy, Bad Italy
(Yale) – molto diverso dai contenuti di
Forza, Italia,
in quanto (come dice il titolo stesso) dà  spazio anche alla Cattiva Italia. E questo, sottolinea l’autore, non è soltanto colpa di Silvio Berlusconi. Come Barzini e come Viroli, anche Emmott constata una mancanza di impegno nei confronti dei valori collettivi e perfino morali, fenomeno che forse è stato aggravato dall’ex primo ministro, ma che era in ogni caso preesistente, parte dell’animo italiano.
Emmott scrive che «in ogni italiano è ben radicato il concetto che le leggi dovrebbe essere fatte osservare ed essere osservate, le tasse pagate, ma non solo da lui. Ma oggi c’è anche dell’altro sulla Cattiva Italia: si tratta di una sorta di egoismo che comporta una mancanza di rispetto del tutto particolare e volutamente distruttiva nei
confronti di ogni collettività  in genere, o più particolarmente, le istituzioni, gli interessi, le leggi e i valori nazionali. Questa Cattiva Italia può essere ben definita con il termine di “parassita”, o peggio ancora di “cancro”, ma non si tratta di un tumore che si diffonde rapido e uccide, bensì di un cancro che
cresce lento e inesorabile, indebolendo poco a poco il corpo di cui è ospite».
Ma l’autore è sensibile – molto più sensibile di molti italiani, specialmente quelli espatriati – nei confronti della vivacità  d’inglese
gegno dell’Italia, e soprattutto delle sue potenzialità . Emmott riporta alcuni esempi di coraggio, spirito imprenditoriale e impegno civico già  illustrati in
Forza, Italiae
osserva che l’ «Italia può migliorare, se gli italiani lo vogliono». Il talento c’è, come del resto molteplici esempi di istituzioni e singole personalità  che dimostrano di non essere né corrotte né mediocri.
Diffondere questi esempi nella nazione e riscoprire «un senso di comune volontà  nazionale » sarà  molto difficile, ma – ritiene Emmott – la caduta di Berlusconi ha creato una nuova apertura che porterà  ad altre ancora, anche se ciò «imporrà  la necessità  di dire tante verità  e dare prova di un’immensa quantità  di coraggio morale».
Con un pizzico di pessimismo intellettuale, ma anche un po’ di volontà  ottimistica, Maurizio Viroli conclude il suo libro con un «appello a chi ha un grande cuore e un animo indomito: “Lasciate che vi esorti a lavorare a beneficio della libertà  dei cittadini, per effettuare una semplice scelta morale, anche senza alcuna speranza di ricompensa o di vittoria”». L’Italia, vista dall’estero, è uno stato in equilibrio, non tanto tra Bene e Male, quanto tra una riforma morale estremamente difficoltosa e un continuo scivolare in quello che Viroli ha definito un “malessere morale”. Spetta agli italiani, adesso, decidere se abbiano ragione gli espatriati e gli stranieri; e se è così scoprire come raccogliere la sfida.
Traduzione di Anna Bissanti

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