Ior, nel mirino conti sospetti di religiosi
ROMA — Flussi finanziari transitati su conti correnti dello Ior e poi finiti su altri conti aperti presso banche italiane ed estere. Depositi intestati a preti e suore che sarebbero stati utilizzati per «ripulire» il denaro o quantomeno per occultarne la provenienza. Mentre non sono ancora sopite le polemiche per la destituzione del presidente Ettore Gotti Tedeschi, c’è un’altra vicenda che rischia di aizzare lo scontro interno al Vaticano. E di far emergere un nuovo scandalo sulla gestione dell’Istituto delle Opere Religiose. Perché sono almeno una decina le segnalazioni di operazioni sospette già analizzate dall’Uif, l’Ufficio di informazione finanziaria di Bankitalia e poi trasmesse alla magistratura e alla Guardia di Finanza per gli accertamenti di tipo penale. E tutte riguardano prelati che avrebbero accettato di fare da prestanome per passaggi di denaro con finalità che appaiono ancora oscure.
Le varie relazioni trasmesse dagli analisti di Via Nazionale riguardano conti diversi, ma non si può escludere che almeno alcune possano essere collegate tra loro e riguardare operazioni illecite per le quali era necessario un frazionamento su depositi diversi. Per questo si è deciso di riunirle in un unico filone e di svolgere accertamenti paralleli anche per stabilire eventuali connessioni tra persone diverse e soprattutto tra beneficiari diversi, almeno apparentemente.
Al momento si sa che le movimentazioni che hanno generato allarme sono state segnalate da istituti di credito italiani ed esteri e soltanto la ricostruzione dei vari passaggi ha consentito di stabilire che una delle «tappe» era interna alla Santa Sede. Un meccanismo ben individuato due anni fa dalla Procura di Catania che accertò come Antonino Bonaccorsi, fratello del boss Vincenzo condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa, era riuscito a «ripulire» 300 mila euro di provenienza illecita facendoli depositare sul conto aperto dal figlio prete, don Orazio, presso lo Ior grazie al collegamento homebanking e dunque all’utilizzo dei codici di sicurezza assegnati proprio al prelato.
Un «sistema» che le indagini condotte dal pool di magistrati romani coordinato dal procuratore aggiunto Nello Rossi ha ricostruito in tutte le sue fasi, anche se i rapporti tra l’Italia e la Città del Vaticano in questa materia hanno subito fasi alterne e attualmente la collaborazione sembra entrata in una fase di stallo.
Le varie «Sos» (segnalazioni operazioni sospette), sono scattate quando su alcuni conti correnti di normali banche sono stati notati prelevamenti e depositi di somme ingenti che non trovavano giustificazione rispetto al normale andamento oppure che erano stati frazionati proprio nella speranza di non alimentare sospetti. E invece i primi accertamenti hanno consentito di scoprire che i soldi venivano spostati su conti dello Ior e poi riaccreditati per tentare di farne perdere le tracce. Nella maggior parte dei casi la causale parla genericamente di beneficienza. Esattamente la «voce» che usava Don Evaldo, il prete a disposizione della «cricca» dei Grandi eventi, quando ridistribuiva il denaro che gli era stato affidato da funzionari e costruttori.
Numerose operazioni sono state effettuate online e proprio questo ha generato il sospetto che in realtà i prelati siano soltanto dei prestanome disponibili a consegnare i codici di accesso ai proprietari del denaro. Per identificare i reali beneficiari e stabilire la provenienza dei soldi bisognerà adesso ricostruire rapporti e legami dei preti e delle suore coinvolti. Una verifica che, visto quanto sta accadendo in Vaticano, rischia di avere clamorose conseguenze.
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