Investire, investire, investire la formula per salvare l’Europa

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L’economista dialogherà  alle 12 al Salone del Podestà  con Federico Rampini sul destino dell’euro e su quel che bisogna fare per evitare la “tempesta perfetta”. Dal diverso atteggiamento che deve cominciare ad avere la Germania fino all’idea, indispensabile, che i Paesi deboli puntino non solo sul rigore ma anche sulla crescita
Enon al 1933, l’anno della fine della democrazia e dell’ascesa del nazismo.
Che era stata preceduta di due anni da una profonda crisi bancaria in tutta Europa. Solo così, guardando a un passato più remoto e all’inflazione che esso evoca, si spiega l’ostinazione con cui il governo di Berlino si è concentrato sulla politica del rigore a tutti i costi: una paura eccessiva, sproporzionata, controproducente. Che ha portato ad una drammatica recessione i Paesi della sponda sud dell’euro, fino ad aggravare di giorno in giorno la situazione nell’intera Europa.
E ha portato soprattutto al radicarsi dei conflitti politici fra i vari Paesi, a un gioco di ripicche incrociate diaboliche che ha condotto a incredibili errori, come la risposta data una settimana fa alla crisi bancaria spagnola: si dovevano ricapitalizzare direttamente le banche e non il Paese. Così
facendo invece non si è fatto che aumentare l’esposizione debitoria di Madrid senza risolvere alcun problema. Come è stato possibile un errore del genere, e come è possibile che una serie di governi retti da politici seri e onesti, addirittura autorevoli economisti come nel caso dell’Italia, non riescano a trovare una soluzione stabile e duratura? È possibile, mi sembra l’unica spiegazione, perché i leader hanno perso la capacità  di lavorare insieme, presi in un vortice di posizioni precostituite.
Eppure, almeno su alcuni punti un accordo sembra nella logica delle cose, apparentemente inevitabile: come nel caso della Grecia, dove c’è bisogno di un intervento straordinario di solidarietà . Come si fa a non vederlo e a non attuarlo? Sta di fatto che, giunti a questo punto, con le elezioni greche ormai alle porte senza che dall’Europa sia stato mosso alcun passo significativo a favore di Atene, un’uscita dall’euro (o un’autouscita) sembra molto
probabile. E questo potrebbe essere uno degli ingredienti più forti di una nuova “tempesta perfetta” che aggredirà  i mercati nel corso del 2013. Per “tempesta perfetta” intendiamo una situazione di caos e tensioni nell’eurozona con un’uscita della Grecia e un significativo effetto di contagio sulle altre economie più vulnerabili.
Per evitare tutto questo e per tutelarsi dall’ondata di sciagure connessa alla crisi greca, l’unica cosa è varare un piano di sicurezza per il sistema bancario europeo: più semplicità  nelle transazioni interstatali, istituzione di un fondo unico di garanzia dei depositi, e parallelamente trasformazione della Bce in una vera banca centrale, in grado di finanziare con elasticità  gli istituti, di comprare titoli di Stato all’emissione, di dare vita a una vigilanza attiva e centralizzata sugli istituti dei Paesi membri.
Sugli eurobond non mi farei illusioni visto lo stallo politico.
Parallelamente i Paesi indebitati devono procedere sulla via del
rigore, ma con una gradualità  enormemente inferiore a quella adottata, anche rassegnandosi a rinviare di parecchi anni il pareggio di bilancio, e invece nell’immediato allentare la pressione fiscale sui cittadini e concentrarsi sul recupero di fondi da investire. La Germania e gli altri Paesi forti devono varare un grosso piano di investimenti paneuropei pubblici e privati in grado di creare crescita in ogni angolo del continente. La Germania può e deve farlo senza alcuna paura dell’inflazione.
Giorni fa a Berlino ho incontrato personaggi molto in alto nel governo tedesco, e mi sono sembrati più malleabili del passato, ma non ancora pronti a varare un piano di questa portata.
Guardando le cose in una prospettiva più ampia, la Germania potrebbe alla fine accettare un “growth compact”, un’unione fiscale che comprenda una mutualizzazione dei debiti (Ebonds) e un’unione bancaria a pieno titolo. Ma tutto questo se i Paesi periferici dell’eurozona accetteranno il trasferimento di sovranità  nazionale negli affari fiscali, economici e bancari a Bruxelles a condizione che alla Germania sia garantito un ruolo di speciale rilievo in un’unione politica più profonda e integrata.


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