IL SUO STILE CI HA AIUTATO A CAPIRE I NOSTRI LETTORI

by Editore | 21 Giugno 2012 6:14

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Talvolta i nostri giudizi su fatti e persone non collimavano. I nostri caratteri erano diversi e diverso il nostro modo di vestire, di apparire e di essere, ma proprio questa diversità  era il legame che rendeva indissolubile e necessario il nostro sodalizio e l’affetto che lo impregnava.
Facevamo lo stesso mestiere ma il suo approccio alla realtà  era tutt’altro dal mio, la sua scrittura ironica quanto la mia era assertiva, i suoi giudizi dubitativi quanto i miei apodittici. Lui conosceva e apprezzava una parte della società  che io non frequentavo, una parte della letteratura che io non conoscevo; eravamo complementari, perciò ci scambiavamo di continuo idee informazioni libri canzoni da ascoltare film e piece teatrali da vedere.
La sua vita professionale è stata molto più errabonda della mia. Quando in qualche parte del mondo scoppiava una guerra, una rivoluzione, un cataclisma naturale, un mutamento politico o culturale rilevante, lui preparava il suo sobrio bagaglio da inviato speciale prima ancora che io lo incaricassi di quel servizio e mi chiamava per dirmi che era già  pronto a partire. Il giorno dopo arrivava il suo primo articolo e cominciava il racconto di quello che stava accadendo in Egitto, in Cina in Medio Oriente, in Russia, in Spagna, in Israele, in Congo, in Sudafrica.
Ha visto e conosciuto mezzo mondo, di alcuni paesi e dei loro problemi è diventato uno specialista, alternando reportage e commenti, inchieste e analisi politiche, economiche, sociali. Nel corso del mio lavoro come lui ne ho conosciuti pochissimi. Quello che più gli somigliava per la vivezza della scrittura e la sicurezza del giudizio è stato Bernardo Valli che spesso gli fu compagno nei servizi di guerra dove i giornalisti lavoravano tra bombe cannonate e agguati.
Oltre a guerre, rivoluzioni e terremoti, Sandro raccontava anche la cultura. Descrisse le avanguardie, rifece il percorso dei classici, le spiagge di Normandia di Proust, la Dublino di Joyce, il bordolese di Montaigne. E i luoghi dove accoppiare le vacanze del corpo e le curiosità  dello spirito, le dolci costiere della Provenza, il mare tempestoso delle Ebridi, il paese basco e i tori dell’Andalusia, i fiordi norvegesi ed Elsinore del principe danese, la Guascogna di Cyrano e il Périgord di à‰tienne de la Boétie.
Sull’Espresso e soprattutto su Repubblica Sandro non fu soltanto un professionista di prim’ordine ma una presenza indispensabile per chi aveva l’incombenza di conoscere il modo di sentire dei lettori del giornale, quelli già  acquisiti e quelli da avvicinare e conquistare. Lui rappresentava uno spicchio di quel pubblico che cercava sul giornale una tonalità  particolare, una sprezzatura della rettorica, un tratto di eleganza al tempo stesso decadente e modernissimo, Cocteau e Ravel, James e il circolo di Bloomsbury. E fu lui ad accorgersi che Arbasino era già  diventato un classico quando ancora lo consideravamo un giovane di talento in cerca del suo stile.
Fummo anche compagni, lui ed io, di lunghe nottate di “piano-bar” dove si ballava il charleston e la rumba, Franco Angeli cantava
Abat-jour e Luisa Spagnoli, Alabama Song di Kurt Weill.
Poi, col passar degli anni diventò solitario. I rapporti tra noi e con il lavoro non cambiarono ma lo scambio di pensieri si fece più rarefatto e l’allegria scomparve. Si era ritirato a Cetona, anche l’inverno lo trascorreva in campagna. Passeggiava nei boschi con Ceronetti. La moglie Fiore l’andava spesso a trovare ma lui a Roma veniva sempre più di rado. Al bisogno però partiva per Parigi, Gerusalemme, Mosca, Pechino.
Aveva poca passione politica. Monti gli è piaciuto per la sobrietà , Berlusconi non gli piacque mai per ragioni estetiche e non politiche.
È stato un eccentrico, Sandro Viola. Della sua cifra il nostro pubblico aveva bisogno e
Repubblica è stata ed è anche un giornale eccentrico. Questo lo dobbiamo a lui e a lui soltanto.
L’eccentricità  talvolta è una movenza scelta per apparire diversi dagli altri, ma altre volte è anche frutto di sofferenza e di non risolte contraddizioni. Io credo che la sua fosse germogliata da quella radice e perciò avesse una qualità  più autentica ma anche più dolorosa.
Se n’è andato in punta dei piedi affinché nessuno sapesse e nessuno importunasse il suo congedo da se stesso. E nessuno fosse importunato dal duolo del compianto. Ma il compianto c’è ed è assai dolente, che lui lo volesse oppure no.

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