Il sistema aperto del nuovo mondo

by Editore | 29 Giugno 2012 6:54

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Non è facile accostarsi a Nuovi conflitti costituzionali. Norme fondamentali dei regimi transnazionali del giurista tedesco Gunther Teubner (Bruno Mondadori, pp. 208, euro 25). Lo sforzo richiesto è notevole. E tuttavia ne vale la pena. Già  il titolo dell’edizione italiana, traduzione di un originale che suonerebbe più o meno «Frammenti di costituzione materiale» (Verfassungsfragmente), potrebbe fare pensare a un testo tecnico, riservato solo agli specialisti di «cose giuridiche». In realtà  non è affatto così. A partire da una prospettiva giuridico-costituzionale, infatti, il volume insiste su alcuni nodi fondamentali, o forse addirittura sul nodo fondamentale, con cui deve attualmente fare i conti qualsiasi proposta politica che non voglia limitarsi alla testimonianza. Oggi, parlare di crisi della politica è scontato. A un livello superficiale, il discorso tende a esaurirsi sulla perdita di fiducia nei partiti, ossia sul deficit di credibilità  e capacità  di mobilitazione da parte dei soggetti per eccellenza dell’agire politico novecentesco. Al di là  dell’inadeguatezza culturale e morale (indubbia) delle élite partitiche e dei tecnici al loro seguito, o del loro grottesco tasso di ideologicizzazione dissimulato dietro il lessico del pragmatismo, a emergere sono però problematiche di natura più strutturale, riguardanti l’incapacità  di quella che siamo soliti chiamare «politica» di incidere, anche qualora lo volesse, su processi che sembrano non solo sfuggirle ma sovrastarla. 
I flussi finanziari globali, in proposito rappresentano l’esempio per eccellenza di una sorta di nuova «natura» rispetto alla quale l’artificio territorializzato dello stato e delle sue istituzioni non riesce ad avere presa. A fronte di ciò, le soluzioni invocate sono di due tipi. Una, di carattere sovranista, che consiste nell’auspicare una riattivazione dei contenitori nazionali, all’interno dei quali procedere a una ripresa di controllo sui regimi transnazionali. Sul versante opposto, o speculare, troviamo invece le proposte orientate in senso cosmopolitico, con un ventaglio di posizioni che da Martin Shaw a Jà¼gen Habermas o Ulrich Beck, per i quali di fronte all’irreversibilità  dei processi di globalizzazione l’unica soluzione adeguata consisterebbe nell’attivazione di una dinamica costituente volta a riportare la decisione politica e la rappresentanza democratica alla stessa scalarità , mondiale. Si tratta di due soluzioni che, in realtà , appaiono più speculari che opposte, in quanto individuano nella dimensione sovrana unitaria, a diversi livelli, l’unica istanza in grado di farsi portatrice di un processo di costituzionalizzazione. A fronte di tali alternative, la proposta avanzata da Teubner propone un significativo scarto. Non diciamo una «terza via», visto il triste destino che hanno sempre incontrato le proposte poste all’insegna di quella formula, ma un mutamento di prospettiva ricco di conseguenze politiche. 
Trasversali e settoriali
Per come posta da Teubner la questione si configura nei seguenti termini: come costituzionalizzare una serie di regimi transnazionali il cui funzionamento autonomo conduce a esiti distruttivi? L’agente deputato a tale ruolo potrebbe essere lo stato, nella sua dimensione locale o globale, nazionale o cosmopolita. Nuovi conflitti costituzionali chiarisce fin dalle prime pagine come sia necessario smarcarsi da una simile alternativa attraverso una diversa comprensione dei regimi costituzionali, svincolata da ogni concezione statocentrica. La riflessione di Teubner si appoggia sull’evidenza dell’emergere di una serie di ordinamenti parziali settoriali a carattere globale derivanti non da accordi internazionali ma dall’intensificarsi del ricorso all’arbitrato come modalità  di risoluzione delle controversie fra attori privati transnazionali e dalle attività  regolatorie di settore, dai protocolli tecnici, dalla circolazione delle forme contrattuali, dalle expertise ecc. Così, a livello transnazionale, accanto a una lex mercatoria abbiamo una lex digitalis, una lex constructionis e via dicendo. A parere di Teubner ciò non condurrebbe a un diritto globale transnazionale quanto a una trasformazione dei criteri di differenziazione del diritto, con l’emergere in primo piano di una dimensione settoriale, trasversale rispetto alle distinzioni fra pubblico e privato, nazionale e internazionale, in cui il raggio della giurisdizione si definisce non secondo confini territoriali ma sulla base di temi specifici. 
Per Teubner, la costituzione è un tema troppo importante per essere lasciato solo a giuristi e politologi. Da qui l’esigenza di un approccio sociologico, in grado di valorizzare le tendenze autoregolative e normative dei vari sistemi e sottosistemi sociali e di svincolare il concetto di costituzione dal suo legame con lo stato. Costante, in proposito, appare il dialogo con il sociological constitutionalism di autori quali Gerard Thornhill. Il riferimento teorico fondamentale di Teubner, tuttavia, è rappresentato dalla sociologia di Niklas Luhmann. È da essa che viene mutuata una concettuologia incentrata sull’interazione sistema-ambiente, il carattere costituente degli effetti di comunicazione e una topologia che non assegna al sistema politico un primato gerarchico «di diritto» rispetto agli altri sistemi. In tale prospettiva, l’autonomizzione dei sistemi e dei sottosistemi sarebbe un portato della modernità , le cui tendenze espansive sono state a lungo frenate dallo stato nella sua forma liberale e welfaristica, Con la globalizzazione, tuttavia, si assiste allo sviluppo di una spazialità , transnazionale, che permette ai sistemi di collegarsi ricorsivamente «in assenza di un’autorità  limitatrice che ne argini le tendenze centrifughe e ne regoli i conflitti». Ciò determinerebbe un’espansione autoreferenziale di alcuni sistemi, in primis quello finanziario, che sfocia inevitabilmente in esiti sia autodistruttivi (la crisi) sia destabilizzanti rispetto all’ambiente (termine tecnico della sociologia luhmaniana per indicare il complesso gli altri sistemi con cui un determinato sistema entra in contatto attraverso input e output).
Il fantasma cosmopolita
A parere di Teubner, i sistemi parziali hanno proceduto a una possente autocostituzione su scala globale. Il problema che si pone, a questo punto, è quello di una loro costituzionalizzazione, ossia di un’autolimitazione, analoga a quella avvenuta all’interno dei sistemi politici moderni. Con una significativa differenza. Per il giurista tedesco, infatti, «solo la politica costruisce la sua costituzione sul modello di un’organizzazione di potere e di consenso finalizzata alla produzione di decisioni collettivamente vincolanti», mentre «gli altri sistemi sociali devono organizzare le proprie costituzioni e i propri limiti basandosi sui rispettivi media comunicativi, per esempio l’economia sulle operazioni di pagamento, le scienze sulle conoscenze, i mass media sull’informazione». Un intervento normativo esterno portato avanti dalle istituzioni politiche, di conseguenza, non viene giudicato in grado di operare efficacemente. E ciò sia nella dimensione dello stato nazionale, che oltre a limiti di scalarità  rispetto allo spazio transnazionale manifesterebbe anche un deficit di «comprensione» nei confronti dei media da limitare: problema, quest’ultimo, contro cui si scontrerebbe anche la volontà  legiferante di un fantomatico stato cosmopolita. La capacità  di innescare processi di autolimitazione dei sistemi parziali, in particolare di quelli economici e finanziari, appare quindi per Teubner legata a una politicizzazione interna ai sistemi, capace di incidere direttamente sui media a partire dai quali si articolano attivando «inibitori endogeni». Fondamentale nell’innescare simili dinamiche è la capacità  di «irritazione» da parte dell’ambiente e le «collisioni» con altri sistemi. In sintesi: «L’alternativa è la seguente: smetterla di interpretare la frammentazione come un problema da sanare, staccandosi così dall’idea di una costituzione globale unitaria. L’attenzione si concentrerà , invece, sui fondamentali conflitti fra frammenti. Ma allora un diritto costituzionale diffuso non può fungere da diritto unitario, bensì solo da diritto globale delle collisioni».
Il libro di Teubner non è di facile approccio. La confluenza fra linguaggi specialistici ad alto livello di formalizzazione, la dottrina costituzionale e la sociologia luhmaniana, non manca di mettere alla prova il lettore in più passaggi. Le questioni che pone, tuttavia, sono tutt’altro che astratte, specie se si considerano le impasse che incontrano i tentativi delle istanze sovrane nell’imbrigliare una sfera economica e finanziaria sempre più fuori controllo ma anche e soprattutto le difficoltà  dei movimenti di andare oltre il momento destituente, in cui l’allontanamento dal potere del tiranno o di una classe politica screditata sembra seguire inevitabilmente l’avvento di un placeholder deputato alla messa in atto dei dettami di una governance che sembra derivare da altrove la propria grammatica. In tal senso, non è certo un caso che da qualche decennio i luoghi di agglomerazione della protesta facciano sempre più riferimento non a poteri sovrani ma a snodi fondamentali dei sistemi parziali: Wto, Wall Street, Bce. Tuttavia è necessario andare oltre il piano solo simbolico. In tal senso, Teubner non esita a parlare di potere costituente, di costituzionalismo dal basso con riferimento all’addensarsi di potenziali sociali di irritazione in grado di produrre effetti perturbativi sui media stessi dei sistemi parziali, ridefinendone i funzionamenti e le dinamiche comunicative.

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