Il G20 processa l’Europa “Ha sparato un colpo a vuoto” Ormai è sindrome-banche

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NEW YORK – Monti e Van Rompuy ricordano che questa crisi non è «nata in Europa ». Barroso è il più stizzito, quasi gli saltano i nervi: «Non siamo venuti al G20 per prendere lezioni di democrazia né di governo dell’economia». La verità  è che l’eurozona nel momento della sua massima debolezza si conquista una sorta di nefasta centralità . Nessuno riesce a evitare i contraccolpi della sua crisi: né l’America né la Cina. Il documento finale del G20 invoca perciò «azioni audaci» da parte dell’eurozona per combattere la sua depressione. Emerge da quel testo ufficiale un tema nuovo: si chiede agli Stati membri dell’unione monetaria di «spezzare la spirale negativa che lega i debiti delle banche ai debiti degli Stati sovrani». E’ la sindrome spagnola, descritta in questo passaggiochiave del comunicato. Perché fin dall’apertura del G20 è chiaro che la Grecia è quasi storia passata, il pericolo vero è ormai la Spagna, la quarta economia europea, un malato potenzialmente ben più destabilizzante. L’emergenza greca è “quasi” oscurata, anche se non del tutto. Il risultato del voto di domenica è il meno peggio che si potesse avere, e tuttavia non ha sgombrato il campo dal rischio di un braccio di ferro Berlino-Atene. I futuri governanti della Grecia già  chiedono di rinegoziare le condizioni degli aiuti (i 240 miliardi di euro ricevuti da fondo salva-Stati e Fmi, in cambio di una pesante austerity); la Merkel li diffida preventivamente: «Le elezioni non possono rimettere in discussione gli impegni presi dalla Grecia».
Dunque sugli schermi radar dei mercati la possibilità  di un nuovo stallo sulla Grecia non è scomparsa. Ma da ieri è in secondo piano rispetto all’altro problema. Robert Zoellick, l’americano che è il presidente uscente della Banca mondiale, dice ad alta
voce quel che tutti pensano: «L’eurozona ha sparato una cannonata a vuoto». Il colpo andato a vuoto, è l’annuncio del maxisalvataggio delle banche spagnole, che rischiano il crac per le conseguenze della bolla immobiliare. Fino a 100 miliardi di aiuti, è questa la “cannonata” che doveva impressionare i mercati e convincerli finalmente che l’eurozona fa sul serio. Al contrario, il colpo di cannone è stato un flop. Il meccanismo di quell’aiuto è controproducente: poiché non viene versato direttamente alle banche in crisi bensì al Tesoro di Madrid, ne fa aumentare perversamente la quota debito/Pil; inoltre spaventa gli investitori privati perché in caso di bancarotta le loro obbligazioni sarebbero di serie B rispetto al creditore privilegiato che diventa il fondo salva-Stati. Insomma l’annuncio salvifico sulla Spagna è diventato un disastro, tanto più
che ha rivelato enormi resistenze a fare ciò che conterebbe davvero: costruire una vera unione bancaria europea.
La questione delle banche, che il G20 mette al centro del suo appello, sta avvelenando la crisi europea da tempo. E’ stato sottolineato che il cosiddetto “salvataggio” della Grecia fu in realtà  un aiuto alle banche francesi e tedesche esposte per i bond di Atene. Ora più che mai, ogni Paese fa quadrato in difesa del proprio sistema bancario, e la “ri-nazionalizzazione” del credito è un propagatore della crisi. Quando un colosso francese come il Crédit Agricole rimpatria i propri capitali da Atene, è evidente quali segnali lancia ai suoi partner-concorrenti di Wall Street e Londra: si salvi chi può, l’ultimo che resta è perduto. Per evitare che un fuggi fuggi avvenga in Spagna, poi in Italia, la strada è nota: un’assicurazione europea sui depositi dei
risparmiatori (modello Usa), e una vigilanza bancaria anch’essa unificata in capo alla Bce. Ma Barroso svela ancora una volta la natura “in-decisionista” dell’Unione, quando annuncia che la Commissione di Bruxelles presenterà  delle “proposte” sull’unione bancaria… in autunno. Una lentezza esasperante, vista da Washington, Pechino o Brasilia. Non a caso i Bric approfittano di questo G20 per sbattere i pugni sul tavolo: aumenteranno sì il proprio contributo al Fmi (che potrebbe servire per ulteriori futuri salvataggi di Stati europei) ma solo dopo che il loro peso decisionale sarà  stato adeguatamente rafforzato. Obama non può che prolungare la strategia messa in campo nelle ultime settimane: usare la nuova sponda di Hollande, insieme con Monti, per creare un “cerchio” di pressioni convergenti sulla Merkel, a
favore di politiche più generose per la crescita.
Cameron mette il dito su un’altra debolezza, quando invoca per la Bce una libertà  di stampare moneta analoga a quella di cui godono la Federal Reserve americana e la stessa Bank of England. Ma se Draghi fosse libero di sostenere la crescita come il suo collega americano Bernanke, una politica monetaria più spregiudicata avrebbe già  pilotato l’euro in discesa fino alla quota “uno a uno” sul dollaro, o più in giù, aiutando così le esportazioni dal Vecchio continente. Invece nel momento della massima sfiducia dei mercati, l’euro è ancora a 1,26 sul dollaro: un “mistero” fin troppo decifrabile, che gli europei non hanno neppure il coraggio di denunciare. Non sarà  Obama a suggerirci la strada di una svalutazione competitiva.


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