Il fantasma Timoshenko sulla grande festa ucraina

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I giorni in cui erano corse voci di annullamento, di spostamento delle partite in Germania e cose del genere sono alle spalle: nonostante l’impopolarità  internazionale (e, sempre più, anche interna) del presidente Yanukovich, nonostante la strage dei cani randagi, nonostante l’allarme sulla sicurezza e la criminalità , nonostante le speculazioni sui prezzi di alberghi e trasporti, nonostante tutto e di più, alla fine le squadre sono arrivate, i tifosi-turisti anche, e si gioca. L’unico incidente della vigilia (un po’ di canti razzisti) segnalato finora dalla Uefa è avvenuto in Polonia, a Cracovia. Sciocchezze rispetto ai dividendi che, sia a Varsavia che a Kiev, ci si aspetta di raccogliere da questi Europei in termini di vantaggi economici: gli investimenti sono stati molto robusti, pari all’1,3 e all’1,7 per cento del Pil rispettivamente per Polonia e Ucraina (secondo una stima del centro analitico londinese Capital Economics) ma grazie ad essi le infrastrutture, soprattutto in Ucraina dove erano particolarmente obsolete e carenti, hanno fatto passi avanti da gigante, il che non mancherà  di produrre effetti positivi a medio termine. Certo, sul versante ucraino della manifestazione sportiva grava ancora l’ombra del boicottaggio politico legato al caso Timoshenko, la ex premier condannata nel 2011 a 7 anni di carcere per aver abusato dei suoi poteri, contro gli interessi nazionali e a vantaggio di suoi interessi privati, firmando il contratto per le forniture di gas russo all’Ucraina nel 2009. Ma è evidente che si tratterà  di un boicottaggio per modo di dire: i leader europei non verranno a vedere le partite ospitate in Ucraina – e alcuni di essi (gli inglesi per esempio) non sono neanche sicuri di voler tener fede fino in fondo alle loro bellicose intenzioni, visto che hanno annunciato che se ne staranno a casa «per la prima fase del torneo», poi si vedrà . I più duri nel rifiutare di onorare con la loro presenza gli stadi ucraini restano i dirigenti della UE, come José Manuel Barroso e Viviane Reding; ma non avendo essi una squadra nazionale da lasciare orfana della loro presenza sugli spalti, possono permettersi di fare gli intransigenti. Il problema riguarderà  piuttosto la signora Merkel, che si è lasciata andare a pesanti affermazioni sulla natura «dittatoriale» del regime ucraino e che, date le buone chances calcistiche della squadra tedesca in questa edizione degli europei, rischia ora di trovarsi in un grave imbarazzo se la Germania dovesse arrivare alla finale – che si svolgerà  a Kiev. Quanto alla signora Timoshenko, causa prima di tanto scompiglio e imbarazzo, da un mese si trova ricoverata – in stato di detenzione, s’intende – in un ospedale di Kharkiv, dove dei medici tedeschi la stanno sottoponendo a terapie non meglio precisate per ovviare al suo problema alla schiena che le procura gravi dolori; non si parla più né dei maltrattamenti e delle percosse che avrebbe subito in carcere né dello sciopero della fame da lei in conseguenza attuato per una ventina di giorni fra aprile e maggio. D’altra parte, sono stati gli stessi familiari della detenuta, insieme ai leader del suo partito, a mettere temporaneamente la sordina alla vicenda, per il timore che un «eccesso» di proteste, lamentele e boicottaggi nei giorni degli europei potesse in ultima analisi nuocere alla popolarità  della loro causa tra i cittadini ucraini, che per la prima volta da sempre si trovano a ospitare un grande evento internazionale. Resta il punto del perché Yulija Timoshenko si trovi in carcere, che non è un punto da poco. I governi occidentali (ma anche Vladimir Putin) hanno fin dall’inizio dichiarato che il processo e la condanna nei suoi confronti erano «politicamente motivati», dunque ingiusti a priori e tali da costituire una grave violazione dei diritti umani; il governo ucraino da parte sua afferma che tali giudizi sono infondati perché nessuno si è preso la briga di andarsi a studiare gli atti del processo. Ora però, in vista dell’imminente appello in Cassazione, alcuni giuristi importanti europei come l’ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski e l’ex presidente dell’europarlamento Pat Cox verranno a Kiev per prendere visione di tutti i documenti e seguire quindi le udienze, con il benestare del governo. Per il presidente Viktor Yanukovich – il quale di recente ha affermato che il processo contro Timoshenko, pur corretto, «non ha rispettato tutti gli standard giudiziari europei», questa sorta di «consulenza» giuridica durante l’appello in Cassazione servirà  a togliere di mezzo incomprensioni e pregiudizi. Poi arriverà  anche il momento di un nuovo processo contro Timoshenko, questa volta per omicidio (una torbida vicenda risalente agli anni ’90), ma quella sarà  un’altra storia. Intanto, però, la vicenda i suoi danni li ha ormai provocati, e anche seri. Se sulla «grande festa sportiva» l’effetto resta tutto sommato modesto, sui rapporti politici non si può dire lo stesso. De facto , il processo di graduale avvicinamento di Kiev alla UE, iniziato nel 2005, è stato bloccato – anche se è lecito pensare che il caso Timoshenko abbia più che altro offerto ai leader europei una scusa per tirarsi indietro rispetto a impegni divenuti nel frattempo (con la crisi dell’eurozona) impossibili da mantenere. Anche se nessuno lo dice apertamente, è palese che a Bruxelles e in molte altre capitali ci si è pentiti della disinvoltura con cui negli anni scorsi l’Unione si è aperta ad alcuni, se non tutti, i paesi dell’ex blocco socialista: ed è per questo che sono stati presi tutti i pretesti possibili per evitare ulteriori allargamenti «in perdita», verso paesi al di sotto degli standard economici UE, come sarebbe il caso dell’Ucraina, o con profili politici diversi come, oltre alla stessa Ucraina, anche la Turchia.


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