Il conto dei danni mentre arrivano le disdette dei turisti

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ROMA — Ogni giorno bisogna rifare i conti da capo. Solo ieri l’Emilia ha tremato 50 volte, la scossa di metà  pomeriggio è stata di quelle forti per davvero. Ma non è solo per questo che — insieme alla terra, alle case, alle tende blu e alle persone strette lì dentro — ballano pure le cifre sui danni e sui costi per la ricostruzione. La stima di ieri mattina, 5 miliardi di euro, è destinata a salire ancora. «I primi conti sono fatti inevitabilmente a spanne e spesso finiscono per essere parziali» spiega Sergio Achille, funzionario della Protezione civile e presidente dell’Associazione nazionale disaster manager. Nella sua carriera Achille si è spesso occupato proprio di questo, di quantificare i costi. E la sua esperienza ci aiuta a capire quello che potrebbe accadere nelle prossime settimane: «I danni dei terremoti sono subdoli. All’inizio si notano solo quelli immediatamente visibili, i crolli, le crepe evidenti. Ma quelli invisibili possono venire fuori anche molto tempo dopo. In Umbria, nel ’97, alcune case vennero dichiarate inagibili solo dopo settimane». Un altro motivo per considerare quei cinque miliardi, purtroppo, una semplice base di partenza.
Per i conteggi ufficiali bisognerà  aspettare ancora giorni. Saranno i singoli Comuni, con i tecnici della Protezione civile e dei Beni culturali, a certificare i costi da sostenere. Per il momento bisogna accontentarsi delle stime. Almeno 3 miliardi quelli per le imprese, con i capannoni venuti giù e quelli inagibili. Anche l’agricoltura pagherà  un prezzo pesante: dopo la prima scossa, quella di due domeniche fa, il ministero aveva parlato di 200 milioni di euro, adesso siamo arrivati a 500. Più difficili i conti per le case, anche se buona parte dei 234 mila edifici della regione hanno un buon livello di sicurezza. E anche per le strutture pubbliche, a partire dalle scuole: sempre dopo la prima scossa, erano 68 quelle danneggiate adesso si sfiora quota 200, una su sette nella regione. Ancora peggio sono messi i monumenti: nella zona più colpita è caduta una chiesa su tre. Ed è per questo che la stima ufficiosa di 1,5 miliardi per tutte e tre le voci — case, edifici pubblici e monumenti — sembra davvero molto prudente. Certo, molto dipenderà  da come si deciderà  di ricostruire. All’Aquila sono state tirate su le new town, i quartieri nuovi in periferia, e il centro storico è ancora transennato, fermo a tre anni fa. Nonostante questa strada sia più veloce ed economica, ma certo non gradita a chi deve abbandonare la propria casa, lo Stato ha speso 14 miliardi di euro. Secondo una studio di Ance e Cresme, l’Associazione dei costruttori e il Centro per le ricerche economiche, dal 1968 ad oggi i terremoti sono costati allo Stato 160 miliardi di euro. Davvero difficile che stavolta — con meno morti ma con scosse che non finiscono mai — ci si fermi a 5 miliardi. Finora il governo ha messo in conto 2 miliardi e mezzo, tra l’aumento della benzina e i risparmi della spesa pubblica. Di sicuro non basteranno. Anche perché ci sono altre voci che non rientrano in questi calcoli. Confindustria dice che sono a rischio 13 mila posti di lavoro. Il turismo, poi, pagherà  il suo conto solo quest’estate: dall’estero sono arrivate le prime disdette. Non solo per la riviera romagnola ma addirittura per il lago di Como. Magari collaterali, ma sempre danni.


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