Il capannone senza tetto dell’operaio Ettore “Ora non mi fiderò più”

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SAN MARTINO SUL SECCHIA – «ECCO, io vorrei lavorare qui». Le mani di Ettore disegnano un immaginario bancone un metro sopra l’erba e le margherite. Qui? Sul prato? «Qui, là , dove ti pare, ma sotto il cielo azzurro, senza un tetto sulla testa». Chi ci aveva mai fatto caso prima, che le fabbriche hanno un tetto. «Chiaro che ce l’hanno, ma io in dodici anni di lavoro alla Wam non lo avevo mai guardato». Dopo la botta di domenica venti maggio lo guardavano tutti. «Nessuno di noi riusciva a concentrarsi come prima. Un occhio alla linea del montaggio e uno alle “bandiere”, le catene che pendono dalle travi: il nostro sismografo. In fabbrica lo sai quanti rumori e vibrazioni, ma ogni due minuti uno gridava “oh, hai sentito la scossa?”». Ma la paura stava passando, «Lunedì è stata una bella giornata, si sorrideva, si parlava di calcio». Se il terremoto ha una mente, è diabolica. Ha aspettato ancora un giorno che i nervi tornassero al loro posto: e ha colpito. «Stavo scrivendo la scheda dati di una macchina. Non s’è annunciato, è scoppiato. Non so come sono arrivato fuori, ci hanno pensato le gambe da sole. Eravamo pallidi come cadaveri, ma c’eravamo tutti». 
Alla Wam di Ponte Motta, vicino a Cavezzo, il capannone dove Ettore Guida fa il capolinea montaggio è inagibile, ma non è crollato. «Poteva capitare a me… Ma il terremoto sceglie». È una vecchia conoscenza, il maligno sotterraneo. La prima volta che si sono incontrati, Ettore aveva nove anni e abitava nel centro di Napoli, la sua città . Era il 1980. «Il nonno ci fece andare sotto un arco di pietra, bravo nonno. Ma non ricordo paura, ero felice perché non si andava a scuola». Poi si diventa adulti e le paure arrivano. Non trovare lavoro, ad esempio. A ventun anni Ettore venne a cercarlo in Emilia. «Erano tempi che, se ti presentavi la mattina, al pomeriggio eri assunto». Qui, nella terra più piatta d’Italia, Ettore ha incontrato Ilenia, l’ha sposata, dodici anni fa hanno avuto Melissa, sei anni fa hanno comprato casa, una casetta terra-cielo giallo limone piena di sole e di mutuo ventennale. 
Ettore era un uomo sereno e si chiede se tornerà  ad esserlo. «Venerdì ci dicono se si ricomincia. Ma io non riesco a pensare di tornare in fabbrica. Non adesso. Non così». E guardate che Ettore è tutto tranne uno scansafatiche. A San Martino, venti case sotto l’argine del Secchia, lo conoscono. Il «circolo», un tendone con cucina professionale e due forni per pizze, lo manda avanti lui, è la casa di tutti, in una frazione che è come una famiglia. Oggi come non mai. «Metà  delle case sono lesionate, nelle altre hai paura a tornare. Il primo giorno sono venuti i vigili a vedere se c’erano feriti, poi non s’è visto più nessuno». La minuscola zona rossa l’hanno recintata, poi sono andati a comperare le tende e hanno montato il campo nel pratone, «ci siamo aiutati da soli, ma ora la Protezione civile vuole requisirci il tendone della mensa, se ci provano facciamo le barricate».
Anche in fabbrica, Ettore tirava come un treno. «A me lavorare piace, anche per questi 12 euro l’ora». La Wam è una buona azienda, 400 dipendenti, filiali in tutto il mondo, fanno chiocciole d’acciaio che sembrano sculture, le «coclee» che aspirano acqua e sabbia. Mai uno sciopero neanche quando è arrivata la crisi, nel 2008, cassa integrazione a turno, denti stretti e avanti, «il titolare ci sa fare, ha investito e l’abbiamo passata».
Alla Wam, dopo la scossa del 20, avevano messo l’avviso in bacheca: i capannoni sono stati controllati, giovedì riprende il lavoro. «Ai cancelli ci hanno dato un foglio che diceva, allo stato presente l’edificio è agibile eccetera. Al presente, che vuol dire? Con la terra che trema tutti i giorni? I periti dicono solo se la fabbrica ha resistito, perché non si chiedono se resisterà  anche domani?». Certo, la direzione ha detto anche: chi non se la sente si metta in ferie. «Ma io faccio un giorno di mutua in tre anni… In ferie fino a quando? E se sto in ferie, quando torno il capannone è più solido?». 
Che senso ha poi stare a casa se a casa non ci vai. «Per fortuna la Multipla è a tre piazze… Ma ho la doccia a trenta chilometri di distanza, dai parenti». A lavorare dunque Ettore c’era andato, stanco e ansioso, «mi ero fidato, tu cosa avresti fatto?». Ti fideresti ancora? Sospira: «Siamo in una tenaglia. Se lavori rischi di morire, se non lavori muori di fame. Ti pare una scelta?». Ma Ettore è nella Rsu, i colleghi si aspettano qualcosa da lui. «Questa volta non basterà  un foglio in bacheca. Voglio che vengano almeno i vigili del fuoco». E poi? Basterà ? Allarga le braccia: «Negli ultimi vent’anni ho visto tirare su capannoni in una settimana. Prefabbricati. Dicono: tanto non è zona sismica. Sai cos’è una zona sismica? Quella dove è già  venuto un terremoto, mentre una zona non sismica è quella dove il terremoto deve ancora venire. È come dire: non mettiamo gli estintori perché non è mai bruciato nulla, dunque questa è zona ignifuga. Basta, basta con ‘sta storia delle zone sismiche, una fabbrica non deve crollare mai, mai, da nessuna parte, per nessun motivo». Perché sotto ci sono uomini, non solo robot. «Io il robot che taglia la lamiera col laser ce l’ho, sotto quel tetto che mi fa paura. Lui non ha paura, io adesso sì. Lui è una macchina, io non sono un pezzo di macchina». E basta anche con la storia della fatalità : «Guarda il fiume. Una piena ti affoga. Il terremoto invece non ti uccide, non lui. Ti uccide il soffitto che cade, e il soffitto non è una fatalità ». 
Scappare? «C’è chi ci sta pensando. Io ho dei parenti a Trieste, m’han detto vieni qui. Sì, e come lo ritrovo un posto fisso? Mica è più come vent’anni fa. Poi ho quindici anni di mutuo della casa. E poi questo è il posto dove voglio vivere». Gli uomini non sono macchinari che si smontano e si rimontano ovunque.
Lo smartphone ronza. «Ho messo una app che mi dà  l’entità  delle scosse in tempo reale. Lo so, è ansiogeno, ma io voglio sapere». Tutta Italia vuole sapere. «Non è vero, fra tre giorni non parlerete più di noi. È andata così anche una settimana fa, se non tornava a tirare e a uccidere restavamo una notizia di quarta categoria, come saremo fra poco». Ettore, che farà ? «Non lo so. Lavorerò, è chiaro. Ma adesso no. Dateci respiro, abbiamo il terremoto negli occhi e nelle orecchie, fateci recuperare la forza. Poi in qualche modo ce la faremo».


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GENOVA – Conoscono già  la data dell’ultima festa. «Anche se il cantiere chiudesse, ma noi faremo di tutto perché questo non avvenga, la nave da crociera Riviera, dell’Oceania Cruises, dovremo comunque finirla. Sarà  varata il 21 marzo dell’anno prossimo. E quel giorno saliremo a bordo tutti, noi lavoratori, con le nostre mogli, i nostri figli. I più giovani porteranno i genitori.

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