Il banchiere bianco «aspetta» il Papa tra veleni e timori sull’incolumità 

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Raccontano che da settimane Ettore Gotti Tedeschi tema per la propria incolumità . E che da quando, il 24 maggio scorso, è stato «licenziato» dalla presidenza dello Ior, l’Istituto per le opere di religione, la «banca del Vaticano», la sua apprensione sia cresciuta. Le perquisizioni eseguite ieri per conto della Procura di Napoli «per cercare documenti» nella sua casa di Piacenza e nello studio di Milano, ipotizzando un collegamento con le inchieste su Finmeccanica, certamente non lo rasserenano: sebbene non risulti indagato e non si parli di collegamenti fra i due fatti. Ma il banchiere che per tre anni ha guidato lo Ior cercando di modificarne un profilo in passato non proprio trasparente, avrebbe messo in fila i segnali che hanno preceduto una rimozione senza precedenti.
Chi lo conosce riferisce di persone che negli ultimi tempi, in Vaticano, gli chiedevano quasi distrattamente se avesse la scorta. Altre che incontrandosi si confidavano di avere avuto disposizioni, non si sa bene da chi, di isolarlo. E mentre Oltretevere impazzava la caccia al «corvo» che distribuisce documenti top secret e fango sulla nomenklatura della Curia e perfino sulla cerchia dei collaboratori di Benedetto XVI, i suoi avversari hanno messo in giro un’altra voce: che fosse una delle «manine» traditrici. Un modo per delegittimarlo e per fargli capire che l’aria, per lui, si era fatta irrespirabile. Da quanto risulta, l’aveva capito così bene da avere offerto in almeno tre occasioni le dimissioni: sempre respinte, pare. Il rapporto di fiducia con l’«Appartamento» del pontefice sembrava proteggerlo da qualunque attacco.
D’altronde, si temeva che il suo siluramento spedisse all’esterno un messaggio negativo sul futuro dello Ior e in generale sul clima di intrigo che sta segnando l’immagine della Santa Sede. Gotti Tedeschi non è soltanto un economista cattolico stimato, legato all’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, docente universitario e amico personale di Emilio Botà­n, numero uno del gruppo spagnolo Banco Santander. È stato anche una delle persone chiamate da Benedetto XVI a collaborare alla stesura dell’enciclica Caritas in veritate. Per questo, quando nel Consiglio di Sovrintendenza dello Ior si è capito che Carl Anderson, numero uno dei Cavalieri di Colombo statunitensi, e il tedesco Ronaldo Hermann Schmitz, ex della Deutsche Bank, volevano sfiduciarlo, ci sono state consultazioni febbrili. Il segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, per quanto irritato con Gotti Tedeschi, è stato uno dei primi a intuire l’impatto negativo di quell’atto.
Per questo avrebbe cercato un compromesso. Indiscrezioni vaticane sostengono che, fra le varie opzioni, è stata esaminata la possibilità  di uno spostamento di Gotti Tedeschi alla Pontificia Accademia delle scienze sociali presieduta da Mary Ann Glendon, giurista di Harvard apprezzatissima dal pontefice, ex ambasciatore Usa presso la Santa Sede. Ma alla fine le alternative si sono rivelate impraticabili, anche perché Anderson e Schmitz volevano sfiduciare a ogni costo il presidente dello Ior. Il comunicato liquidatorio fino allo sgarbo col quale hanno motivato la decisione induce a pensare che in caso contrario si sarebbero dimessi loro. Ma perfino chi sostiene che Gotti Tedeschi non era la persona giusta per guidare lo Ior, è costretto ad ammettere che la sua defenestrazione è stata un errore madornale: nei modi e nei tempi.
Ha dilatato ed esagerato la sensazione di un Vaticano nel quale anche le rese dei conti più brutali hanno perso quei connotati felpati, connaturati in questa istituzione. E hanno lasciato aperte molte domande, dopo mesi nei quali al presidente dello Ior erano stati affidati i dossier finanziari più delicati: sia le leggi antiriciclaggio che debbono convincere gli ispettori di Moneyval, mandati a Roma dal Consiglio d’Europa, ad ammettere lo Ior nella lista mondiale delle banche virtuose; sia il salvataggio dell’ospedale San Raffaele, voluto fortemente dal cardinale Bertone: con Gotti Tedeschi delegato a trattare col sistema bancario; e Giovanni Maria Flick, ex Guardasigilli ed ex presidente della Corte costituzionale, incaricato di raccordarsi con la Procura di Milano, titolare dell’inchiesta sul crac finanziario della creatura di don Luigi Verzè. Nell’autunno del 2011 l’allora presidente dello Ior aveva anche tentato di offrire una soluzione tecnica per la questione dell’Imu, la nuova Ici, sui beni ecclesiastici, prima che la risolvesse il governo di Mario Monti. Ma era stato bloccato.
Sono stati i fatti successivi, tuttavia, a inspessire le incomprensioni con gli uomini di Bertone: fino a farle degenerare in uno scontro a somma zero. E lentamente, nelle settimane precedenti alla sfiducia si sono cominciati a diradare anche i contatti fra il banchiere e l’«Appartamento». L’asse fra Gotti Tedeschi e il cardinale Attilio Nicora, numero uno dell’Aif (l’Autorità  di informazione finanziaria contro il riciclaggio), ha trovato negli uomini di Bertone, in Anderson e nell’avvocato che difende il Vaticano nelle cause contro i preti pedofili in Usa, Jeffrey Lena, contraltari determinati e, alla fine, vincenti: almeno per il momento. E adesso c’è la perquisizione per l’inchiesta a Napoli, a conferma che piove sempre sul bagnato. La cosa sorprendente è che Gotti Tedeschi sembra quasi aver deciso di non difendersi, mentre dall’interno del Vaticano gli scaricano addosso di tutto. Eppure conosce ogni documento, e i suoi avversari sanno che sa.
Forse, la spiegazione più plausibile è che aspetta un cenno del Papa. Ha sempre detto che ritiene Benedetto XVI l’unica persona alla quale pensa di dover rispondere del proprio operato. E alla quale ubbidire.


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