HAPPY HOUR

by Editore | 29 Giugno 2012 6:21

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Questa è la storia di una principessa. Una principessa delle favole, una di quelle visioni splendenti e verginali con cui siamo cresciuti. Immaginate una principessa. Non sforzatevi di essere creativi. È meglio evitare. Vogliamo un’icona, non una persona. Accontentatevi dell’immagine che appare alla vostra mente quando dite, tra voi, “principessa delle favole”. Ci saranno naturalmente delle variazioni, anche se sospetto che ci saranno anche delle somiglianze. Probabilmente i suoi capelli sono lunghi e lucenti. È bella, certo, ma in modo piuttosto convenzionale – non è una di quelle bellezze fiere e spavalde, dal naso importante e gli occhi selvaggi, penetranti. È bella come un bambino. La sua bellezza, come quella di un bambino, è in miniatura, nascente, inconsapevole. Indossa lunghi e casti abiti che denotano ricchezza, ma non fecondità , e neppure maturità . Più che camminare, fluttua, come sospinta da un’invisibile specchio d’acqua che si muove con levità . Può essere fanciullescamente ribelle, ma in lei non c’è traccia di sdegno, dolore o disperazione. Quando non è felice, è malinconica più che affranta. Le sue mani sono troppo piccole per tenere un’arancia.
Qual è dunque la sua storia?
Possiamo raccontarla in mille modi, ma tutti devono implicare delle avversità . Una principessa che non viene messa alla prova non dà  luogo ad alcuna storia. Fluttuerà  semplicemente nelle sale del palazzo, apparirà  ai balli, ammirerà  le rose attorcigliate sul suo davanzale. Le storie richiedono un rovescio di fortuna. Quindi. Potremmo dire che è stata bandita da una matrigna gelosa, ed è andata a vivere nella foresta. Potremmo dire che viene importunata da un ranocchio parlante, il quale sostiene che un bacio stampato sulle sue fredde labbra verdi lo trasformerà  in un principe. Potremmo dire che è stata ridotta in povertà  e in servitù, da cui viene liberata dalla magica concessione di una notte al ballo reale, un colpo di fortuna che si accompagna sfortunatamente a una rigida restrizione: deve lasciare il ballo entro la mezzanotte, proprio quando comincia il divertimento.
Qualunque sia la sorte che abbiamo scelto per la nostra principessa – i particolari non sono così importanti – viene salvata, alla fine, da un principe. Se la principessa è una domanda, il principe è la risposta. La bellezza del principe salvatore è molto simile a quella della principessa. Anch’egli è impeccabile. Il suo volto e il suo corpo sono privi di caratteristiche fuori dalla norma; è soprattutto la sua simmetria a esser degna di nota. È leggermente femmineo, come certi adolescenti avvenenti – ragazzi sul punto di diventare oscuri e profondi, ma ancora posseduti, in questi ultimi mesi, dal loro sentimentalismo infantile, dal loro desiderio preormonale di essere puramente e semplicemente buoni. Questo non significa che il principe sia effeminato. È coraggioso e capace. È in grado di tagliare in due una carta da gioco, a mezz’aria. È in grado di trionfare sulle avversità , aprirsi la strada a suon di fendenti in un muro di spine, setacciare interi regni in cerca di una fanciulla che ha visto una sola volta. È eroico. Ma sebbene completamente sviluppato, non è un uomo potente, mosso dalla brama. Potremmo pensare a lui come a una versione maschile di Giovanna d’Arco, guidata dall’amore per una principessa piuttosto che dalla devozione a Dio.
Quindi. La principessa viene salvata dalle tribolazioni, e se ne va col principe al suo castello, che possiamo visualizzare come una sagoma dorata e turrita, il sogno di un castello che si profila all’orizzonte. Non assistiamo all’arrivo del principe e della principessa, li vediamo solo avviati sulla strada che conduce alle porte del castello, e dobbiamo quindi immaginare da soli l’acciottolato delle corti, i drappi e gli arazzi e i ritratti degli avi. Che sono proprio come dovrebbero essere. Il castello del principe, quello in cui la principessa vivrà , dovrebbe essere il castello che ciascuno di noi più desidera, il castello che più si avvicina alla nostra concezione personale della perfezione. In un certo senso, la principessa viene portata in paradiso, e il paradiso può essere una ricompensa divina solo se appare a ciascuno di noi, individualmente, come un bel posto in cui passare l’eternità . Io, dal canto mio, sarei ben felice nel mio paradiso, ma triste in quello dell’uomo burbero e brontolone che passa le giornate all’angolo della mia via, porgendo una tazza per le monete, o nel paradiso della bambina di cinque anni che abita nell’appartamento di fianco. Mandate quindi la principessa non in un castello tradizionale, con i suoi spifferi e i suoi echi, ma in quello in cui vorreste vivere voi. Alcuni di noi preferiranno un’accogliente penombra rischiarata dal fuoco, con comode poltrone, pile di antichi libri rilegati in pelle e un saggio e benevolo mago. Altri vorranno sale imbiancate che si aprono su giardini in cui i bambini inseguono le farfalle. Qualunque posto scegliate, ad ogni modo, la principessa vi vivrà  per sempre. Non si trasferirà  in un posto migliore. Non c’è un posto migliore. Invecchierà  lì, accanto al suo principe. Sfiorirà  lì. Diverrà  sonnolenta e smemorata in quel castello, dipenderà  sempre di più dalle sue cameriere e, a un certo momento, spirerà  in una delle sue stanze. Credete di sapere dove va a parare la storia?
Non va a parare lì. Il principe e la principessa non diventano infelici col passare del tempo. Non si disamorano. Non hanno litigi che terrorizzano i servitori, né sprofondano pian piano in uno stato di tacita e perenne irritazione che li rende irriconoscibili persino a se stessi. Non scoprono che i figli sono più un peso che una gioia, non badano al fatto che la loro carne li sta tradendo, i loro occhi non cominciano a posarsi sui membri più giovani della corte. Nella nostra storia, il principe e la principessa vivono per sempre felici e contenti. I figli li incantano e li deliziano. La loro passione cresce man mano che invecchiano. Continuano tutti e due, col passare degli anni, ad attendere con impazienza il momento di andare a letto, quando potranno raccontarsi a vicenda le storie dei giorni che hanno preceduto la loro unione con una consumata minuziosità  che eccita entrambi. Si sentono, fino alla fine, accompagnati, accoppiati, compresi e amati.
C’è tuttavia un pensiero che turba la principessa per tutta la sua lunga e felice esistenza. Per quanto ami i propri giorni e le proprie notti, e tutto ciò che racchiudono, sente nostalgia dell’attimo di un tempo lontano in cui le labbra del principe sfiorarono le sue, e si risvegliò dal suo lungo sonno. Del momento in cui la pelle del ranocchio si spaccò, cadendo come un guanto, e ne emerse un giovane ardente e profumato. Dello scivolare senza fatica di un piedino nella scarpetta di vetro.
Ci fu, in quell’istante, il lampo di una rivelazione estatica. Lei che era stata creduta addormentata per sempre non era soltanto resuscitata ma, mentre i suoi occhi si aprivano con un fremito, aveva visto il volto del principe, che avrebbe potuto essere l’angelo dell’Annunciazione, più bello e maestoso di quanto non sia tecnicamente possibile per qualunque creatura. Lei che era stata assillata da un ranocchio fino a non poterlo più sopportare, che aveva acconsentito a baciare le sue labbra anfibie solo per liberarsene, aveva scoperto di aver evocato l’uomo dei suoi sogni. Lei che si era rassegnata a un’esistenza dedicata a spazzare il focolare aveva visto la propria vita cambiare all’improvviso, profondamente e per sempre, quando il suo piede aveva calzato agevolmente la scarpa. La principessa sente nostalgia di quel momento come sente nostalgia dei genitori. La principessa vive felice, quasi completamente felice, come la maggior parte della gente riesce a fare quando abita molto lontano dalla propria famiglia. Siamo attrezzati, quasi tutti, per sopportare la perdita. Dobbiamo esserlo, perché è parte della vita, e nessuno, neppure la principessa di una favola, ne è immune. Ne guariamo, anche se mai del tutto, naturalmente. Le perdite possono anche non abbatterci, ma stendono una patina sulla nostra felicità , trasformandola da lucente a brunita. La principessa non sa spiegarsi gli accessi di nostalgia per quel bacio che le ha ridato la vita, per quel ranocchio trasformato d’incanto, per quella scarpetta che le ha donato la salvezza. Non approfondisce troppo l’argomento. Non è, ammettiamolo, un saggio o un filosofo. Alle feste, è più incline ad affascinare che a porre domande acute. E tuttavia porta con sé, per tutta la sua lunga vita, un piccolo germe di delusione. Porta con sé la consapevolezza che, per quanto meraviglioso sia tutto, una volta ha conosciuto un attimo di trascendenza che non può ripetersi. Un attimo in cui il mondo si è dischiuso e le ha offerto più di quanto avesse sperato, più di quanto avesse pensato possibile.
Si tiene impegnata con i doveri regali. Ci pensa il meno possibile.
Traduzione di Andrea Silvestri © Luigi Bernabò and Associates

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