Green economy. Il vertice di Rio tra speranze e preoccupazioni

by Sergio Segio | 12 Giugno 2012 9:58

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Il rapporto dell’Ilo (Organizzazione internazionale del Lavoro) e Unep (United Nations Environment Program), pubblicato il 4 giugno, annuncia che nei prossimi vent’anni “La transizione verso la green economy avrà  ripercussioni su almeno la metà  della manodopera mondiale (1,5 miliardi di persone)”. Un cambiamento che interesserà  l’agricoltura, l’industria forestale, la pesca, il settore dell’energia, l’industria manifatturiera ad alta intensità  di manodopera, il riciclaggio dei rifiuti, le costruzioni e i trasporti, così che l’economia verde potrebbe portare nei prossimi vent’anni tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo. Saranno le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo a trarne i maggiori benefici perché, a differenza dei paesi industrializzati, non dovranno riconvertire le proprie infrastrutture.
Questo non vuol dire che gli stati ricchi debbano sentirsi chiamati fuori: ad esempio “L’Italia può mettere in campo idee nuove ed energie fresche capaci di rilanciare immediatamente l’economia creando nel brevissimo periodo, diciamo il prossimo anno, 60 mila posti di lavoro in campo green: rifiuti e acqua, efficienza e risparmio energetico, bioedilizia, protezione del territorio, rinnovabili, biotecnologie, chimica ‘verde’, mobilità “, ha detto il ministro dell’Ambiente Corrado Clini.

Tornando al Brasile. Ospiterà  la Giornata Mondiale poiché rappresenta un’economia emergente che ha saputo puntare sull’ambiente. Sta cercando di risolvere il problema della deforestazione illegale in Amazzonia; si è posto l’obiettivo di ridurre l’emissione dei gas serra e stimola le pratiche di riciclo che stanno dando impiego a migliaia di persone creando un fatturato, prima inesistente, di 2 miliardi di dollari.
Per di più, dal 20 al 22 giugno si terrà  sempre a Rio de Janeiro il Summit ‘Rio+20’,  vertice sullo Sviluppo Sostenibile, organizzato dalle Nazioni Unite, a vent’anni dall’Earth Summit del 1992. L’obiettivo è quello di far passare il messaggio che per misurare la crescita e il benessere di un Paese l’indicatore del Pil non è quello più giusto.
Due appuntamenti di grande prestigio e di grande impegno per lo stato sudamericano, in cui non mancano alcune note stonate che faranno molto rumore soprattutto nel nostro Paese: il Summit non ha infatti mancato di invitare un sedicente paladino dell’ambiente. Si tratta di Stephan Schmideiny, sessantacinquenne svizzero tra i fondatori del World Business Council for Sustainable Development e creatore della Fondazione Avina che finanzia progetti ambientali e sociali in America Latina. Purtroppo, però, Schmideiny è anche l’ex proprietario della Eternit, multinazionale tristemente famosa per aver causato la morte, tramite inalazione di fibre di amianto, di migliaia di persone in tutto il mondo. È stato condannato lo scorso 13 febbraio a 16 anni di reclusione e circa 100 milioni di euro di risarcimenti dal Tribunale di Torino per aver provocato, in riferimento ai soli stabilimenti italiani di Casale Monferrato, Rubiera, Cavagnolo e Bagnoli, un disastro ambientale doloso permanente, con circa  3000 mila vittime, e per omissione di cautele antinfortunistiche.
La Eternit aveva stabilimenti in molti Paesi, compreso il Brasile, per questo Abrea (Associazione brasiliana degli esposti all’amianto) ha rivolto un appello all’Onu, alle autorità  internazionali, ai capi di stato e di governo del Brasile affinché dichiarino Schmideiny persona non gradita alla conferenza di “Rio+20”. Dall’Italia è arrivata la sottoscrizione e l’appoggio all’appello dall’Associazione dei familiari delle vittime di Casale Monferrato e da molte altre ancora, accompagnata però dal timore che la sentenza di Torino possa non aver prodotto quegli effetti di livello internazionale su cui tanto si era creduto all’indomani della sua pronunciazione.

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