by Editore | 15 Giugno 2012 8:19
«Una rivoluzione che non produce un nuovo spazio non ha realizzato il suo pieno potenziale», scrive Martina Tazzioli, citando Henri Lefebvre, in uno dei saggi che compongono Spazi in migrazione. Cartoline da una rivoluzione. Curato da Federica Sossi per Ombre corte (pp. 206, euro 18, 50), questo libro presenta le rivoluzioni arabe, e in particolare quella tunisina, da una prospettiva spesso messa al margine, quella dei migranti, qui descritti come parte a pieno titolo del processo rivoluzionario.
La tesi è che le «primavere arabe» abbiano creato inaspettati sommovimenti e prodotto spazi nuovi attraverso le pratiche di attraversamento dei confini agite dai migranti e contrastate dai governi. L’azione di queste due forze contrapposte ha prodotto scenari imprevisti: da un lato, agendo la vicinanza i migranti hanno bruciato distanze sociali e geografiche, dall’altro, le forze adibite al controllo hanno dato vita a nuovi spazi/frontiere in cui detenere chi attenta all’ermeticità dei confini.
D’altronde la frantumazione dello spazio è, secondo Federica Sossi, una delle principali caratteristiche di una rivoluzione, quella tunisina, che ha visto saltare da subito le normali categorie di centro-periferia. Non solo perché le periferie sono state centro e motore irradiatore delle rivolte che hanno infiammato il paese e portato alla caduta di Ben Ali, ma perché le rivolte sono avvenute in quegli spazi e attraverso quelle pratiche in-between (per riprendere una celebre espressione di Homi Bhabha) che sono contemporaneamente espressione del centro, delle periferie e del loro essere simultaneamente tra essi.
I migranti riproducono questa dinamica, l’annunciano con forza tramite il loro agire, le loro pratiche di spostamento, attraversamento, e ciò è vero anche nel momento in cui, catturati, vengono rispediti indietro e rinchiusi nei centri di detenzione. Le loro storie raccontano, forse più di altre, la frantumazione dello spazio e offrono esempi di inedite forme della sua ricomposizione. «Qui e lì sono la stessa cosa», dicevano i tunisini al momento dell’arrivo a Lampedusa, affermando così il principio di una terra che è di tutti. E quegli stessi che erano riusciti ad attraversare gli sbarramenti posti dalla polizia francese a Ventimiglia e ad occupare a Parigi un immobile in avenue Simon Bolivar rafforzavano questo sovvertimento spazio-temporale proclamandosi «il collettivo dei tunisini di Lampedusa a Parigi». Una definizione di poche parole che però afferma una sovversiva unificazione dello spazio e sancisce l’emergere di geografie inedite. Geografie della libertà , le ha definite Sandro Mezzadra in un saggio pubblicato in Libeccio d’Oltremare (Ediesse 2011).
A queste geografie della libertà Glenda Garelli, Federica Sossi e Martina Tazzioli, hanno provato a dare una rappresentazione grafica, inserendo nel libro una mappa che è un esperimento, una sfida o un gioco, per usare le loro parole. Si possono riconoscere la Tunisia, l’Italia, la Francia, la Libia, ma i confini degli stati sono saltati, così come è saltata la tradizionale rappresentazione verticale del Mediterraneo: nella mappa, infatti, lo stivale è posto orizzontalmente.
Cercando una chiave per orientarsi in queste nuove geografie, osserviamo l’emergere di uno spazio di eventi (gli spazi in migrazione di cui parla il titolo) in cui appaiono i segni di rivoluzioni, partenze, attraversamenti, naufragi, catene popolari, lotte, resistenze, fughe, occupazioni, squat (le cartoline di una rivoluzione di cui parla il sottotitolo). Orientarsi in questa mappa non è semplice. A furia di guardarla, ritorna alla mente l’immagine del mappamondo di Idrisi, geografo e viaggiatore berbero del XII sec., che nel 1154 realizzò per re Ruggero di Sicilia un planisfero, di rara precisione per l’epoca, in cui i paesi arabi erano posti in alto e l’Europa in basso.
Mappare diversamente gli stessi territori fa emergere improvvisamente lati nascosti, sommersi, che prima non ci apparivano, e di conseguenza ci invita a cambiare prospettiva, a riformulare le rotte delle nostre analisi. Ad esempio la mappa di Spazi in migrazione con la sua dettagliata legenda ci spinge a porci con forza la domanda – ampiamente affrontata nel libro – sulla fine di quei 250 ragazzi di cui si sono perse le tracce dal marzo del 2011 quando, in un momento di straordinaria apertura delle frontiere, hanno lasciato le coste della Tunisia alla volta dell’Italia. Una vicenda tragica che ha dato vita alla campagna «Da una sponda all’altra: vite che contano», che vede genitori e parenti dei ragazzi dispersi e associazioni italiane battersi insieme in Tunisia e in Italia – perché «qui e lì sono la stessa cosa» – contro il silenzio e l’ostracismo delle istituzioni locali e internazionali e con lo scopo di accertare che sorte è toccata a questi ragazzi nelle loro avventure mediterranee della libertà , per usare ancora la bella espressione di Mezzadra.
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