Franà§oise Héritier: “Così, dopo Lévi-Strauss ho deciso di passare ai piccoli piaceri della vita”
PARIGI – «Avrei scritto lo stesso libro trent’anni fa? Non credo. Solo con l’età s’impara a trascurare il giudizio degli altri, a non avere paura del ridicolo». Celebre antropologa, allieva prediletta di Claude Lévi-Strauss che ha sostituito al College de France, Franà§oise Héritier firma il suo primo bestseller a quasi ottant’anni, con una raccolta dei piccoli, grandi piaceri dell’esistenza. Una poesia in prosa, un gioco intellettuale, una lunga lista di momenti che rappresentano
Il sale della vita,
titolo del fortunato libro in testa alle classifiche in Francia e ora anche in Italia (è uscito da Rizzoli, traduzione di Francesco Peri, pagg. 96, euro 6). Esponente dell’antropologia strutturalista, Héritier ha condotto molte ricerche etnologiche in Africa per poi specializzarsi negli studi di genere e indagare la costruzione sociale della differenza tra maschile e femminile, alla quale ha
dedicato numerosi saggi.
Nella sua lunga bibliografia ha introdotto una parentesi futile?
«È una
flà¢nerie
quasi filosofica attraverso l’esperienza ordinaria della vita. Mi ricollego a quello che sosteneva, nel Settecento, à‰tienne Bonnot de Condillac. Il mondo esiste nei nostri sensi, prima di esistere come un tutto ordinato nel nostro pensiero. Non parlerei di futilità perché il viaggio interiore attraverso emozioni e percezioni è un modo di esplorare la nostra identità . È una forma di verità . Siamo fatti dell’accumulo di queste esperienze. La nostra anima è il nostro corpo. Il libro non è neanche una parentesi. C’è un elemento di continuità con l’ambizione antropologica che ha accompagnato tutto il mio lavoro, ovvero far apparire l’importanza del corpo nella costituzione delle diverse culture».
Fischiettare con le mani in tasca, correre sotto la pioggia calda, i baci sul collo, il profumo delle brioche calde per strada, farsi l’occhiolino… Avrebbe potuto continuare all’infinito?
«Ho iniziato per reazione dopo aver ricevuto una cartolina dalla Scozia di un amico medico che da trent’anni si dedica totalmente al suo lavoro e ai suoi pazienti. Sentiva di aver “rubato” una settimana di vacanza. Gli risposi istintivamente che era vero il contrario: ogni minuto che passava, veniva derubato della sua esistenza. In principio, ho scritto riflessioni generali, poi sono entrata nel gioco e mi sono interrogata più seriamente sulle cose di cui è fatto e senza alcun dubbio continuerà a essere fatto, per me, il bello della vita
».
Alla ricerca delle sensazioni perdute?
«Niente di nostalgico, anzi parlo dell’essenza stessa e della giustificazione di tutte le nostre azioni presenti e future, anche se non lo sappiamo. Rispetto a Marcel Proust che aveva bisogno della madeleine per rievocare sensazioni, il mio percorso intimo procede per libere associazioni. Alla fine, è un monologo, un’unica lunga frase. Ho preso appunti, poi ho lavorato sulla scrittura. Volevo esprimere ogni percezione nel modo più netto
e breve possibile. Sono lampi di vita, grattacieli dell’esistenza. Esperienze universali e altre più personali. L’aneddoto biografico è un modo di incoraggiare i lettori a fare un proprio inventario. Dentro ognuno di noi si celano tesori. Sono la nostra originalità , la
nostra forza».
Questo “sale” è un condimento fondamentale della condizione umana?
«C’è una leggerezza, una grazia speciale nel puro e semplice fatto di esistere, al di là di tutti gli impegni professionali, dei sentimenti
intensi, delle lotte politiche e sociali. Gli avvenimenti si dileguano, però resta l’essenziale, scritto nel corpo, e per farlo risorgere basta il fascino furtivo di una reminiscenza, il fremito di una sensazione, la forza incredibilmente vivida e a volte incomprensibile di un’emozione. Il gusto di cui parlo nel titolo non è solo uno dei cinque sensi, anche se gli esempi culinari sono presenti nel libro. Mi riferisco all’espressione “prenderci gusto”, quella speciale appetenza che ci apre al mondo, alimenta il talento per l’osservazione, l’empatia, la capacità di fare tutt’uno con
il reale».
Come si può rintracciare una valenza universale in esperienze così individuali?
«Il piacere di mangiare ciliegie direttamente dall’albero non è universale? Ho volutamente eluso le gratificazioni intellettuali, l’amore, il sesso, per dedicarmi a sensazioni minime, apparentemente irrilevanti. Mi scrivono lettrici e lettori di tutte le età per ringraziarmi. Riconosco invece che i miei ricordi più personali rimandano a una cultura occidentale. Probabilmente un’africana non si riconosce nel piacere che ho provato io a diciotto anni, indossando un vestito di faglia rossa con un bustino stretto o una gonna svasata e due piccole alette di organza bianca
sulle spalle».
Si discute spesso di superiorità di alcune civiltà , di relativismo culturale. Qual è la sua posizione?
«È un eterno riflesso di ignoranza, che cerca di opporre un gruppo contro un altro. In ogni società si ripropone la paura del diverso, lo spettro dei barbari, dall’etimo “quelli che non parlano come noi”. Purtroppo in politica si usano termini come civilizzazione o cultura senza alcuna cognizione di causa. Ho più volte proposto di inserire nei programmi scolastici l’insegnamento dell’antropologia. Qualcuno crede ancora che sia una disciplina dedicata allo studio di popoli esotici e rivolta al passato. Invece l’antropologia parla al presente. Conoscere le regole e i meccanismi attraverso cui si costituiscono le società è importante quanto sapere che la terra gira intorno al sole».
Nei suoi precedenti saggi ha sostenuto che la dominazione maschile è tutt’altro che archiviata.
«L’ineguaglianza tra i sessi si ritrova in tutte le società , insieme al tabù dell’incesto. La dominazione maschile inizia nella preistoria come risposta all’incapacità fisica degli uomini
di procreare. Il corpo delle donne diventa una risorsa di cui disporre. In Occidente, nell’ultimo mezzo secolo, sono stati fatti progressi. Ma questa mentalità si tramanda e non si cambia per decreto. Ancora oggi è diffusa la convinzione che la principale funzione sociale delle donne sia quella riproduttiva e domestica. Non si può lottare contro un nemico che non ha volto. Per questo, ribadisco, lo studio dell’antropologia può aiutare le future generazioni».
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