Egitto, la presidenza contesa i Fratelli musulmani festeggiano ma Shafiq : “Ho vinto io”
IL CAIRO — Si riempie di barbe islamiche Piazza Tahrir. Nel luogo simbolo della rivoluzione che rovesciò l’ultimo Faraone d’Egitto è festa grande per i Fratelli Musulmani perché sarà il loro leader Mohammed Morsi a entrare da presidente nel palazzo di Heliopolis. Questo il risultato ufficioso delle elezioni di sabato e domenica, per il quale si è combattuto fino all’ultima scheda. Certo l’ultimo colpo di coda della Giunta militare ha molto depotenziato il ruolo del primo presidente “democraticamente” eletto in un Paese islamico dopo la “Primavera Araba”. Lo schieramento del suo rivale nel ballottaggio Ahmad Shafiq — l’ultimo premier di Hosni Mubarak — non sembra voler riconoscere la vittoria di Morsi, annuncia che nei risultati provvisori è l’ex generale ad essere in testa e accusa gli islamisti di voler “rubare” la vittoria. Ma anche il giornale filo-governativo Al Ahram nattribuisce a Morsi il 51 per cento dei circa venticinque milioni di schede valide, perché anche questo secondo turno di presidenziali è stato segnato da un forte astensionismo. Il margine fra i due schieramenti è di poco meno di un milione di voti.
Se la vittoria di Morsi verrà confermata porterà per la prima volta un islamista alla guida del Paese più popoloso e influente del mondo arabo, dopo una lunga tradizione di presidenti che venivano dalle file della Difesa, fin dai tempi del colpo di mano degli “Ufficiali liberi” contro re Faruk nel 1952, che abolì la monarchia. Al generale Muhammad Neguib, seguì Gamal Abdel Nasser, a cui seguì Anwar Sadat — ucciso nel 1981 dai terroristi islamici “cugini” della Fratellanza Musulmana — a cui seguì Hosni Mubarak.
Il futuro presidente egiziano avrà meno margini di manovra nei confronti della Giunta militare che governa il Paese dalla caduta
del raìs nel febbraio 2011. I generali si sono cautelati in caso di vittoria del candidato islamico e si sono attribuiti vasti poteri appena poche ore prima che le urne venissero chiuse. Il Consiglio supremo delle Forze armate guidato dal maresciallo Mohammed Tantawi ha confermato ieri la sua volontà di voler rimettere il potere esecutivo nelle mani del presidente — che quindi potrà nominare un primo ministro e il governo — ma terrà nelle sue mani il potere legislativo e il controllo della Difesa in nome di “un equilibrio di poteri”, finché non sarà eletto un nuovo Parlamento, dopo quello sciolto giovedì scorso dai giudici costituzionali dominato da islamisti e salafiti. In ogni caso ieri sera il capo del Consiglio militare, Tantawi, ha annunciato la formazione di un “Consiglio nazionale di difesa”
che sarà composto da tutti i comandanti delle Forze armate e dal capo dei servizi militari.
L’Egitto si avvia così a diventare un Paese con un “islamismo” corretto dai militari e certo appare una coabitazione difficile, anzi forse impossibile da mantenere, con tensioni permanenti in un Paese già stremato da 15 mesi di transizione segnata violenze e stragi. Morsi — un ingegnere di 60 anni laureato negli Usa — nelle sue prime dichiarazioni ieri ha cercato di stemperare i toni religiosi tendendo «la mano a tutti gli egiziani per un avvenire migliore, per la liberà , la democrazia e la pace ». Ma sono state le sue posizioni marcate da una impostazione fortemente religiosa a intimorire buona parte degli egiziani, più di 11 milioni di egiziani hanno votato per Shafiq dicendo un “no” secco a uno Stato islamico. Il massimalismo della Fratellanza sul velo alle donne, sulla Sharia in tribunale, spiagge chiuse ai bagnanti in costume, il divieto di vendere alcolici, l’obbligo della preghiera negli uffici e altre imposizioni di stile integralista, spaventano gli islamici moderati, i laici, la minoranza cristiana copta.
«L’esercito rimette i poteri… nelle mani dell’esercito», ironizza un collega del quotidiano al-Masri al-Youm,
come per dire che nulla è cambiato. Ma non la pensa così Fathi Bakir, il gestore della più famosa enoteca del Cairo, che da ieri sera ha deciso di svendere tutte le bottiglie al 50 % del prezzo. «Ci aspettano tempi davvero duri e questo ramo d’affari in un Egitto islamista certamente non ha futuro».
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