Ecosistemi distrutti e frenesie finanziarie in un video che nessuno vedrà per intero
Tristano di Nanni Balestrini, forse il poeta, scrittore e artista italiano più rigorosamente sperimentale della sua generazione, quella per intenderci, che ha dato vita all’onda creativa della neoavanguardia. Già in quel romanzo, tutto costruito sul montaggio potenzialmente infinito di materiali linguistici variegatissimi, Balestrini mirava a minare l’idea della serialità della merce, e dunque anche dell’opera d’arte ridotta alla stregua di un prodotto industriale standardizzato. Che quel progetto non sia mai stato abbandonato a dispetto delle limitazioni tecniche dell’epoca, lo mostra la riedizione del romanzo del 2007. Le 2500 copie stampate dall’editore Derive e Approdi, grazie a un software appositamente ideato, sono infatti l’una diversa dall’altra, facendo finalmente del Tristano, come recita il nuovo sottotitolo, un «romanzo multiplo».
Tristanoil, la videoinstallazione scelta da Carolyn Christov-Bakargiev per la tredicesima edizione di Documenta, suggerisce che proprio il Tristano costituisce la spina dorsale della ricerca artistica di Balestrini. Film autogenerato grazie a un programma di Vittorio Pellegrineschi che ricombina infinitamente sequenze video che vanno dalla soap opera Dallas ai notiziari televisivi, Tristanoil è un video di oltre 2400 ore, la cui durata coincide con la quella complessiva di Documenta. Il centro tematico di quest’opera è il petrolio, lo sfruttamento di questa risorsa e le disastrose conseguenze che la ricerca del profitto provocano sul pianeta e i suoi abitanti. Le immagini frenetiche della borsa, quelle delle favelas, il blaterare dei texani da telenovela, le fiamme delle petroliere, le tracce di ecosistemi distrutti diventano – grazie all’elaborazione video di Giacomo Verde – una sostanza visiva liquefatta, materia densa, viscosa, petrolio digitale che invade e intacca lo sguardo dello spettatore.
Al babelare delle voci televisive – insignificante materia sonora – si sovrappone anche la voce atomizzata, frammentata, ridotta alla sillabazione asemantica di Balestrini, che legge frammenti dal romanzo del ’66, come se la denuncia del potere pervasivo iniziata da quest’artista cinquant’anni fa non potesse che ripetersi identica anche oggi, ma con un nuovo senso di urgenza e rinnovata difficoltà .Tristanoil – come suggerisce l’allusione leopardiana al nome che contiene nel suo titolo – è un’opera epica di resistenza tragica, e proprio la sua durata abnorme lo rende patente. Nessuno di noi potrà mai vedere per intero questo film-evento, perché il farlo comporterebbe sospendere la nostra esistenza.Tristanoil è un’opera che possiamo abbracciare per frammenti, come a rimarcare l’incommensurabilità tra il nostro potere individuale e quello del sistema che ci sovrasta. È uno spettatore collettivo quello cui Balestrini si rivolge, una comunità , come a dire che solo unendo le nostre singole esperienze possiamo davvero maturare una coscienza del presente.
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