Draghi: ora un’«unione bancaria»

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BRUXELLES – Ha esortato i governi dell’Eurozona a difendere più concretamente la moneta unica varando anche una Unione di sostegno comune del sistema bancario in serie difficoltà . Il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, ha espresso questa posizione in una audizione nell’Europarlamento di Bruxelles, nel suo ruolo di numero uno del Comitato europeo per i rischi sistemici, utilizzando il drammatico ricordo della crisi valutaria di venti anni fa. 
Draghi vede oggi un momento di «svolta» proprio come «nel 1992», quando il referendum danese sul Trattato di Maastricht «rimise in discussione l’Unione monetaria», facendo schizzare in alto i tassi d’interesse, che «restarono alti per anni». Allora era direttore del Tesoro e si trovò davanti l’attacco della speculazione, che prosciugò le riserve valutarie della Banca d’Italia e portò alla svalutazione della lira con traumatica uscita dal sistema monetario europeo. Ha così ricordato ai governi che «in passato si era stabilito un percorso chiaro per l’Unione monetaria, ora dobbiamo fare la stessa cosa stabilendo il punto fondamentale di arrivo e le tappe per arrivarci». Ai leader politici chiede di definire al più presto «come sarà  l’Europa fra dieci anni e come sarà  l’euro tra diversi anni a partire da oggi». In questo modo è convinto che si ridurrebbe lo «spread», il differenziale tra gli alti tassi d’interesse pagati dai Paesi deboli dell’Eurozona rispetto a quelli bassissimi della Germania, che può indebitarsi a costi vicini allo zero perché considerata solida. Draghi collega «i rischi di contagio» anche alla mancanza di «un percorso visibile di crescita». 
Il sistema bancario resta l’epicentro di molti problemi. Pertanto sollecita i governi a varare una «Unione bancaria» con «supervisione centralizzata» e «schema comune di garanzia dei depositi» in grado di evitare le fughe di capitali in corso dalla Grecia e da altri Paesi dell’Eurozona. La crisi la vede ancora preoccupante perché «dopo un periodo di stabilizzazione all’inizio dell’anno, sono riemersi recentemente episodi di volatilità  e incertezza». Mancano «strategie macroeconomiche che, insieme al consolidamento di bilancio, promuovano crescita e occupazione». I governi dovrebbero «mettere in atto gli aggiustamenti necessari per affrontare gli squilibri macroeconomici e di competitività ». 
Draghi ha risposto con tre «no» netti alle ipotesi di intervento della Bce fuori dal suo mandato di politica monetaria concentrata sulla «stabilità  dei prezzi». Rinvia alla responsabilità  dei governi le azioni per la crescita, il rafforzamento della governance comune e la risoluzione dei problemi strutturali. Il presidente della Bce ha detto che «continuerà  a finanziare le banche» purché siano «solvibili». Ha indicato l’esempio di quattro istituti greci, sospesi dai prestiti a basso costo e «riammessi» dopo essere stati «ricapitalizzati». Si è detto «ottimista» sull’utilizzazione del nuovo fondo salva Stati Esm per rafforzare «direttamente» il capitale delle banche a rischio. Invita però a «centralizzare» anche le ricapitalizzazioni perché i casi di Bankia in Spagna e di Dexia in Belgio avrebbero dimostrato che le autorità  nazionali «all’inizio sottovalutano il problema, fanno una stima, poi una seconda, poi un terza» finendo per pagare il «costo più elevato possibile». 
La Bce non si attribuisce colpe nella grave crisi del sistema bancario. Si limita a fornire «liquidità » per evitare «panico» con fughe dagli istituti solvibili perché non ritiene di poter risolvere «l’avversione al rischio» dei banchieri, che spesso non prestano denaro alle imprese temendo di non riaverlo indietro. Una diffidenza che dilaga tra le stesse banche nel mercato interbancario anche a causa dei «rischi nello shadow banking», il sistema bancario ombra, dove nessuno sa quali e quante voragini siano ancora nascoste.


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