Diritti globali, “ogni anno confermate le previsioni peggiori, ma possiamo ancora cambiare rotta”

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ROMA – “Ogni anno vediamo la conferma delle previsioni peggiori, ma c’è ancora la possibilità  di cambiare rotta”. Così Paolo Beni, presidente nazionale Arci durante la presentazione del rapporto sui Diritti globali 2012 – La Grecia è vicina, tenutasi questa mattina presso la sede della Cgil a Roma. Per Beni la situazione dei diritti descritta dal rapporto mette in evidenza “un processo che sta andando velocemente verso il precipizio”. E a dare le dimensioni di questo rischio, per Beni, è quel che sta succedendo in questi giorni proprio in Grecia. “Penso che la situazione della Grecia ci dia la misura del paradosso. Si è votato la settimana scorsa sotto un ricatto, con i governi di altri Stati che interferiscono sulla vita interna di uno Stato sovrano. Non vi sembra essere sull’orlo di un precipizio dal punto di vista delle democrazie? Penso che sia gravissimo quello che sta succedendo in Grecia in termini di distruzione diritti civili e sociali”. Tuttavia, per Beni, c’è ancora qualche speranza. “La crisi può ancora essere un’opportunità  per prendere atto dell’insostenibilità  del modello economico e sociale e della necessità  di cambiare rotta – ha spiegato -, un cambiamento profondo. Significa mettere in discussione le stesse basi culturali del concetto di sviluppo e di progresso che abbiamo coltivato per decenni”.

Un modello di sviluppo che negli anni ha fatto crescere il divario tra ricchi e poveri e tra generi, secondo Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid. “Abbiamo assistito all’esplodere delle disuguaglianze a tutte le latitudini. Anche in Italia, con il 4,9% di famiglie povere nel Nord Italia e il 23% nel Mezzogiorno. Una crescita delle disuguaglianze ad ogni latitudine anche del genere umano se consideriamo che una donna ha il 25% di probabilità  di perdere il lavoro dopo una gravidanza nel nostro Paese. Ma secondo i dati ufficiali abbiamo 829 milioni di donne lavoratrici sulla soglia di povertà  contro 522 milioni  di uomini”. Per De Ponte, occorre però, coinvolgere attori che non vivano conflitti di interesse per cambiare direzione, in un quadro dove troppo spesso gli interessi finanziari si intrecciano con quelli politici. “Se vogliamo rimettere al centro dell’agenda politica internazionale la lotta ad un crescente insieme di disuguaglianze – ha spiegato De Ponte – bisogna chiedersi chi sono gli attori che sono pronti a farlo e non vivono conflitti di interesse”.

Un termometro affidabile per misurare le violazioni dei diritti di un paese è costituito, poi, dalle carceri. E quelle italiane, secondo Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio di Antigone, sono sul bordo di un precipizio. “La macchina che produce carcere continua ad essere protetta e lanciata – ha spiegato Scandurra – . Si è preso atto delle difficoltà , ma non si interviene sugli elementi che creano la saturazione e la crisi del sistema. Non si interviene sulle causa e di fatto i numeri sono rimasti gli stessi. Il carcere in questo momento è fermo. Si ha la consapevolezza che è sul baratro e si rischia di caderci dentro. Cadere nel baratro significa accettare livelli di violazione dei diritti che oggi sono quotidiani e ordinari ma che ovviamente esploderebbero”. E sono proprio i diritti “la prima vittima della crisi”, spiega Sergio Segio, coordinatore del Rapporto nel suo intervento letto durante la presentazione. Per Segio, a preoccupare maggiormente è la questione giovanile, con il 36% dei giovani disoccupati, tre milioni di precari e due milioni di neet, che non studiano e non lavorano. “Sono i numeri di un dramma esplosivo – si legge nel suo intervento -, di fronte al quale non si sta facendo assolutamente nulla, se on mettere in concorrenza i diritti dei giovani con quelli degli adulti e degli anziani, nell’eterno e cinico gioco della guerra tra poveri”. (ga)

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