by Editore | 16 Giugno 2012 4:27
In gergo tecnico si chiamano utility. Per decenni sono state il bancomat dei Comuni. Quando una giunta era in crisi di liquidità o più semplicemente aveva bisogno di aprire urgentemente un cantiere bastava una telefonata e il direttore generale dell’azienda locale provvedeva. Con la trasformazione in società per azioni e ancora di più da quando le più grandi utility sono state collocate in Borsa, i Comuni si sono dovuti “rassegnare” ai comportamenti di tutti i soci di aziende quotate: ritirare i dividendi soltanto una volta all’anno e interferire il meno possibile con l’attività dei manager. Ma la politica non sempre ha saputo fare un passo indietro. E la crisi ha ridotto negli ultimi anni le cedole incassate dai Comuni, complice il calo dei consumi di energia e l’aumento dei debiti in seguito alle spese necessarie per la crescita. Causando un pericoloso blocco: da una lato le aziende hanno bisogno di investimenti, dall’altra i Comuni non possono permettersi aumenti di capitale per finanziarli.
La strategia elaborata dal ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera vorrebbe risolvere entrambi i problemi. Il primo passo, come è stato spiegato ieri, è la costituzione di una società veicolo che verrà finanziata per un miliardo da parte del Fondo Strategico controllato dalla Cdp. I soldi serviranno per entrare nel capitale delle aziende, ma solo quelle «in condizioni di equilibrio economico- finanziario». Cioè, che producono utili, escludendo così gran parte del sud Italia.
Lo scopo è anche quello di favorire «il consolidamento del settore caratterizzato da scarsità di risorse ed eccessiva frammentazione ». Non è un mistero che il ministro Passera abbia un disegno per spingere all’aggregazione le società quotate in Borsa che si occupano di energia, sul modello della tedesca Rwe, di proprietà delle principali amministrazioni pubbliche
della Germania. Il progetto prevederebbe la fusione tra le società , con i Comuni che lascerebbero (in parte) il posto a Cdp e a investitori finanziari, pur mantenendo la proprietà delle reti di distribuzione di luce e metano. In questo modo, potrebbero incassare con regolarità anche i compensi per l’affitto della rete Del resto, Cdp non è nuova a interventi nel settore dell’energia.
Cassa Depositi è proprietaria del pacchetto di maggioranza di Terna, la società che gestisce la rete ad alta tensione lungo la Penisola e da ieri lo è a tutti gli effetti anche di Snam, dopo la formalizzazione del passaggio del 30 per cento delle azioni da parte di Eni. Una sorta di partita di giro, visto che Cdp è anche il socio di controllo della stessa
Eni.
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