Credito d’imposta, edilizia e mini-bond i paletti della Ragioneria sulle misure

by Editore | 8 Giugno 2012 9:26

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ROMA – Rimettere in moto il Paese, da una parte. Il rigore dei conti, dall’altra. Due obiettivi entrati in collisione sul decreto Sviluppo, rinviato ancora sine die. La Ragioneria non demorde sulle risorse a disposizione, poche e da centellinare. Da giorni ormai tempesta il dicastero guidato da Passera di osservazioni sulla copertura delle norme, richieste di limature e riscritture, ma anche di eliminazione di quelle “costose”. L’articolato predisposto dal ministro e dal suo vice Ciaccia si assottiglia, a tratti si svuota. Scompaiono o si ridimensionano le proposte più coraggiose e attese, come il Piano città , gli stimoli all’edilizia “verde”, gli incentivi alla ricerca e alle assunzioni “qualificate”, il tetto maggiorato alle compensazioni tra crediti e debiti fiscali.
Il ministro è irritato, ne fa una questione personale e di ruolo, minaccia le dimissioni. Il decreto è l’atto più importante del suo dicastero, finora un po’ in ombra, il perno per un’azione di forte rilancio del Pil, indispensabile dopo la cura amara rifilata da manovre severe. Le tasse altissime, il Paese sfiduciato, interi territori si sbriciolano. Ma la Ragioneria frena su tutto, lamentano in via Veneto. Il credito d’imposta per gli investimenti in ricerca, ad esempio, viene riformulato più volte. Poi scompare, con doglianze di Confindustria e del presidente Squinzi. Alla fine rimpiazzato dal bonus fiscale per chi assume personale “altamente qualificato”, con laurea o dottorato in materie tecniche. Il limite è a 300 mila euro ad azienda, poi scende a 100 mila. Lo sconto è totale, poi si contrae al 35%. Senza limite di età  all’inizio. Solo per under 35, alla fine e con titoli conseguiti da non più di sei mesi. L’incentivo si spolpa. Il ragioniere Canzio concede briciole: 25 milioni per il 2012, 50 milioni sul 2013. In pratica, 4 mila nuovi assunti. No, possono salire a 15 mila, ribatte il dicastero di Passera, al netto delle tasse che incasserà  l’Erario sui nuovi contratti. E poi scatta il “rubinetto”: chi rimane fuori è in lista d’attesa per un rifinanziamento. Che forse mai arriverà .
E così via. Un braccio di ferro infinito su ogni misura che determini impegni di spesa. Cordoni della borsa stretti, sviluppo e crescita impossibili. Il muro si alza anche sui minibond per le medie imprese non quotate. La perdita di gettito supera i 40 milioni in tre anni, avvertono i “ragionieri”. Così gli “sviluppisti” riducono l’impatto, inseriscono paletti, restringono la portata. Il Tesoro blocca poi la copertura del 50% delle spese per l’internazionalizzazione dei consorzi di imprese. Mette in forse le detrazioni per le riqualificazioni degli edifici (il bonus del 36% doveva salire al 50% e quello del 55% diventare permanente), che si ridimensionano e soprattutto sono finanziate per un anno appena. Il Piano città  – un volano da due miliardi – è posto in stand-by (servono 225 milioni per farlo partire). Dubbi anche per gli sgravi Imu sulle case di nuova costruzione: valgono tre anni, o meno, forse spariscono. La Srl semplificata a un euro per tutti, non solo per gli under 35 come nel decreto liberalizzazioni, prima c’è, poi non più. 
Una “tarantella” incredibile, che si sostanzia in un numero imprecisato di bozze, nessun testo finale. E soprattutto nessun decreto Sviluppo, per ora.

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