Colpi di scena, bluff e il «jolly» belga Tutte le carte della partita a poker

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BRUXELLES — Anche l’ombra di Pasteur, a voler romanzare, ha fatto la sua parte. Il grande nemico di tutti i contagi ha dato una mano nella partita a poker contro il contagio che minaccia l’euro. Perché è proprio nell’ex-laboratorio Pasteur a Bruxelles, che mercoledì sera può essere iniziato tutto. E ora che il vertice delle scintille è finito, si può tentare una mini-ricostruzione. Mercoledì Mario Monti era andato lì, nell’attuale sede della rappresentanza bavarese presso la Ue, per ritirare un premio dell’Associazione contribuenti europei. Fra il pubblico, diplomatici, accademici, politici delle istituzioni europee, che in parte si conoscevano fra loro. Nel bel giardino, c’è stato anche il tempo per un caffè. Mancavano ancora 24 ore al vertice.
Il negoziato
Chi c’era racconta che si è parlato, fra tante altre cose, anche delle posizioni italiane. E senza rivelare alcun segreto, anche perché qualche giornale in patria vi aveva già  accennato, Monti ha ricordato che in un normale e tradizionale negoziato, se non c’è accordo su qualche punto importante, a volte può non esserci accordo su niente: un discorso in generale, o quasi un preannuncio velato di un possibile veto, in caso di burrasca. Qualcuno dei presenti ci ha riflettuto su, qualche sherpa può aver avvertito il proprio governo. E anche il governo tedesco: dopotutto, quel giardino era casa sua, di Monaco e di Berlino. E poi, naturalmente, giovedì mattina Monti ha parlato direttamente e più volte con il presidente francese Hollande, il premier spagnolo Rajoy, il primo ministro belga Di Rupo. Alla fine non pochi sapevano o intuivano qualcosa di quanto bolliva nella pentola italiana. Lo hanno ammesso poi chiaro e tondo, a vertice concluso. Elio Di Rupo: «Je n’étais pas surpris», non sono stato sorpreso per la mossa italiana. Poi: «Nous le savions», noi lo sapevamo, e ha detto «noi», non «io». Ma anche Franà§ois Hollande: «Sì, ci avevano informato». E la Germania, allora? Dopo tutto, qualche segnale doveva essere arrivato anche ad Angela Merkel. E qualche consigliere della Cancelleria aveva sfiorato qualche campanello d’allarme anche nei giorni precedenti: «Attenzione, l’Italia stavolta va giù duro». Ma la Cancelliera, semplicemente, può non averci creduto: pensava forse a un bluff, e ha deciso di vedere il bluff. Qualcosa come «gli italiani non si spingeranno mai fin là ». Un banale errore di valutazione? Se così è stato, a chiarire tutto ci ha pensato il brusco risveglio davanti a giornali come Der Spiegel che annunciavano: «Italia e Spagna hanno vinto il poker delle trattative».
La strategia
Non era stata una confusa rivolta di Spartaco, però, ma una strategia saldata da una convergenza di interessi. E c’è anche la cronaca notturna di mercoledì, che in parte sembra corroborare l’ipotesi di un errore di valutazione da parte della Cancelliera. È passata la mezzanotte, il veto o «riserva» di Italia e Spagna è da un bel pezzo sul tavolo, il ministro delle Finanze spagnolo ha appena infiorettato un gioco di parole, «questa è la riserva dei finalisti», pensando alla sfida Italia-Spagna di domenica. Monti ha già  scandito il suo annuncio-ultimatum guardando dritto in volto la Cancelliera, in una sala fattasi improvvisamente silenziosissima. José Manuel Barroso, il presidente della Commissione europea, invoca: «Dobbiamo ritrovare i punti comuni». Angela Merkel, con i colleghi di Olanda e Finlandia che adesso si mostrano più rigoristi di lei, attacca sul piano formale, rispolvera le diverse situazioni storiche ed economiche che dividono i 17 Paesi dell’Eurozona dai 27 Paesi della Ue, e che consiglierebbero — dice — più prudenza nel decidere su temi come lo scudo anti-spread. Le tocca una risposta del Professore, tanto soave quanto tagliente: «Vorrei ricordare che i 17 vivono dentro i 27…».
I traduttori dietro le loro vetrate (nessun altro, neppure fra gli ambasciatori, è ammesso per il momento nella sala) picchiettano sulle tastiere parole e moniti mai prima ascoltati in quell’ambiente così vellutato. Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio dei ministri Ue e perciò qui «padrone» di casa, chiede a tutti: «Signori, e ora che si dice alla stampa?». Forse anche lui ignora qualcosa. Ma una conferenza stampa è già  stata annullata, ora bisogna rompere il silenzio. «È meglio dire che c’è un accordo», risponde Merkel, ancora certa dell’esito finale, glissando sul veto italo-spagnolo. E Hollande: «No, meglio dire ogni cosa». Sguardi perplessi di tutti: ad ascoltare, anzi a leggere fra poche ore, ci sarà  l’Europa intera. Quanto a Barroso, non si mostra entusiasta davanti all’idea della conferenza stampa, qui e subito. Lascia capire che bisognerebbe rinviare ogni dichiarazione a più tardi: le cose sono troppo incerte. Di Rupo, Mariano Rajoy, Hollande, forse altri, sanno per certo che l’Italia non arretrerà , e naturalmente neppure la Spagna. Proprio come ha detto poi Hollande: «Ci avevano informato».
Conferenza stampa
Alla fine Van Rompuy dice ai giornalisti che l’accordo è fatto, ma mancano due firme: come spiegare che un bambino è nato, ma per qualche giorno ancora mangerà  e dormirà  vestito nel grembo della mamma. Il presidente stabile della Ue accenna vagamente a «due Paesi» che hanno dei dubbi, irritando non poco la delegazione italiana, e aggiunge che la «discussione continua». È così davvero, continua. Fino al colpo di scena finale, all’intesa vera. Giunta l’alba, tutti cercano diplomaticamente di addolcire la batosta subita dalla Merkel. «È stato un negoziato duro, ma non si può semplificarlo indicando chi ha prevalso o è stato battuto», sussurra Van Rompuy. «Nessuno può affermare io ho vinto oppure ho perso — gli fa eco Hollande — in fondo ha vinto l’Europa». Lei, Angela, partirà  prima di tutti (la attendono al suo Parlamento), con il volto teso e stanco. Dirà  che sì, il vertice «è stato un successo». Ma ritroverà  un sorriso nel rivolgersi a Monti e a Rajoy: «Beh, congratulazioni, avete proprio giocato meglio!». E nell’uscire dal palazzo, scherzerà  ancora: «Ho avuto dieci incontri con Monti e abbiamo parlato anche di calcio». Solo che non era una «finta» come lei pensava, quest’ultima pallonata a spiovente tirata dal Professore: era un rigore vero, che per poco non ha sfondato la rete e centrato la Porta di Brandeburgo.


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