Cina, le fabbriche del Guandong sperimentano la democrazia

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Lo ha annunciato Wang Tongxin – vice presidente della federazione sindacale della metropoli industriale della provincia del Guangdong – dopo l’elezione, lo scorso fine settimana, del leader dei lavoratori della Omron, un’azienda elettronica interessata dagli scioperi degli ultimi mesi. Nel 2013 le urne dovrebbero essere aperte in 163 aziende, ognuna delle quali con un migliaio di dipendenti.
Uno sviluppo favorito dall’amministrazione del Guangdong, una delle più progressiste della Repubblica popolare, mentre ovunque resta un tabù la semplice idea della formazione di sindacati indipendenti. Tuttavia l’allargamento a tante imprese (tra cui molte ditte locali alle quali le multinazionali esternalizzano la produzione o una sua parte) di quello che finora era stato un esperimento limitato a pochi stabilimenti viene giudicato positivamente dalle organizzazioni non governative che si occupano del mondo del lavoro in Cina. 
«La spinta per un maggior numero di elezioni dirette riflette l’atteggiamento pragmatico del sindacato, che sa che soltanto quando i delegati aziendali sono eletti e rappresentano davvero i lavoratori, possono funzionare e guadagnarsi la fiducia di questi ultimi» sostiene Geoffrey Crothall, di China labour bulletin. 
Alla guida degli operai della Omron lo scorso fine settimana è stato eletto (con 47 voti su 74) Zhao Shaobo, mentre le altre cariche direttive verranno assegnate nei prossimi giorni. I 14 candidati che si sono presentati sono, tranne uno, tutti operai della catena di montaggio e – sottolineano le autorità  locali – sono stati votati su schede rigorosamente anonime. 
Al di là  di rari esperimenti pilota, nella seconda economia del pianeta i capi del sindacato in azienda sono tuttora scelti dalle aziende stesse: questo nega ai lavoratori il diritto di esprimersi sull’organizzazione del lavoro e sulla contrattazione salariale, e aumenta la conflittualità  in fabbrica. Negli ultimi mesi proprio il Guangdong continua a essere l’epicentro degli scioperi, con gli operai che si battono per aumenti salariali e contro la chiusura delle aziende, in crisi per il crollo della domanda dall’Europa e per la scelta del governo di spostare in altre province le produzioni più «vecchie». 
Il 19 aprile, membri della commissione politica del Partito comunista (Pcc), il segretario del partito nel Guangdong, Wang Yang e il presidente della municipalità  di Shenzhen Wang Rong, dopo aver incontrato il sindacato aziendale della Ricoh, con una dichiarazione congiunta avevano espresso l’intenzione di promuovere l’esperienza sindacale di quell’azienda, dove i lavoratori, attraverso un procedimento «democratico», avevano scelto i rappresentanti sindacali. 
Sembra insomma potersi ripetere in fabbrica il modello di risoluzione dei conflitti (o l’esperimento di democrazia pilotato dall’alto) di Wukan, il villaggio del Guangdong dove, dopo una serie di manifestazioni violente, all’inizio dell’anno i contadini avevano ottenuto le prime elezioni libere per il comitato locale.
«Le rivendicazioni salariali rappresentano ancora il problema chiave ma ora vengono avanzate anche richieste di elezione diretta delle rappresentanze sindacali» conferma Crothall, che aggiunge: «”Già  nel 2007 i lavoratori portuali si Shenzhen rivendicarono il diritto a formare un loro sindacato. Quello a cui assistiamo oggi non è uno sviluppo radicalmente nuovo, ma la risposta del sindacato è certamente molto incoraggiante».


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