Blair: «Serve un patto in cui tutti si mettono in gioco»

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ROMA — «L’Europa richiede una massiccia politica di ricostruzione», diceva ieri Tony Blair, il laburista che ha guidato il governo del Regno Unito dal maggio 1997 al giugno 2007. Nel pomeriggio, l’attuale rappresentante del Quartetto sul Medio Oriente formato da Onu, Usa, Unione europea e Russia era all’Auditorium di Roma per parlare a una riunione di dirigenti dell’Enel. Nel quinto anniversario dalla sua uscita da quello che le sue collaboratrici dal fare esecutivo e indaffarate come funzionarie d’azienda continuano a chiamare «the office», l’ufficio, ossia l’incarico di premier britannico, il Corriere ha intervistato Blair per sapere come vedeva, da ex primo ministro nella patria della sterlina, la riunione di oggi del Consiglio europeo sul futuro dell’euro.
Per sostenere che in tempi di incertezze occorre saper assumere decisioni innovative, lei ha suddiviso gli uomini di governo in «creatori di realtà » e «amministratori di realtà ». In sostanza, ha raccomandato che adesso è l’ora dei primi. Per rientrare in quella categoria, quale suggerimento darebbe ai capi di Stato e di governo dell’Unione europea che si riuniscono a Bruxelles in piena crisi finanziaria?
«Dovrebbero intraprendere i primi passi verso le decisioni essenziali per preservare la moneta comune. Condivido quanto dichiarato dal presidente del Consiglio italiano Mario Monti: la Germania deve impegnarsi in questa operazione e, in cambio, gli altri Paesi devono attuare riforme necessarie. L’alternativa è perdere la moneta comune».
Dai microfoni della Bbc, domenica scorsa, lei ha suggerito alla Gran Bretagna di riflettere sulla possibilità  di entrare in futuro nell’euro. Come mai lo ha detto mentre la nostra valuta è debole?
«Non ho detto che dobbiamo entrare adesso…».
Questo è vero, si riferiva al futuro. Anche se lei da premier un pensiero su un ingresso nell’unione monetaria lo fece. Nel 2001 il Financial Times ne diede conto…
«La ragione per la quale non ci unimmo all’euro era quella che emerge adesso: quando nacque, la politica era forte e l’economia no. Io ero in favore politicamente, economicamente non era il momento. Ma nel lungo periodo, non dico cinque, non so se dieci anni, il progetto dell’integrazione europea si sarà  ripreso. E anche se la moneta unica fosse crollata credo che l’Ue ritornerà  a quel concetto. Perché l’idea ha senso. Il problema è come è stata applicata. Sarebbe stato meglio se fosse stato il prodotto di un’integrazione economica».
È andata così. Attualmente quali rimedi adotterebbe?
«Adesso dobbiamo allineare le politiche economiche, ciò che avremmo dovuto fare qualche anno fa. In particolare, per l’Italia è essenziale ritornare alla crescita».
Alcuni politici, uno è l’ex ministro Antonio Martino, sostengono che il nostro Paese dovrebbe tornare alla lira. L’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sembra proiettato verso una campagna elettorale basata sulla nostalgia della vecchia lira. Che ne pensa?
«È una scelta. Ma siamo in una situazione nella quale le scelte sono comunque sgradevoli. In ogni circostanza. Tornare indietro alla moneta nazionale avrebbe un caro prezzo: il valore della tua moneta, innanzitutto, ciò che hai. Se vuoi mantenere la moneta unica devi costruire un motore in cui la crescita arrivi senza svalutazione».
Già . Come?
«Affinché ciò accada serve un grande piano».
Un piano che metta in gioco la Germania?
«Sì. La sola cosa che funziona è qualcosa di eccezionale (Blair letteralmente usa il termine dramaticndr). Un grande patto, o un piano, in base al quale ogni Paese affronti le riforme necessarie».
Riforme di sistemi e di meccanismi consolidati, s’intende. Come convincerebbe la Germania che il patto, o piano, potrebbe convenire anche ai tedeschi?
«Primo, la Germania deve ricordare che ha beneficiato della moneta unica. Ha ricavato vantaggio dalle proprie riforme, ma anche dalla moneta unica perché è diventata più competitiva. Se l’euro fallisse, poi, la Germania ne pagherebbe conseguenze forti»
In tanti accusano la cancelliera tedesca Angela Merkel di essere troppo rigida, eccessivamente custode del rigore. Lei condivide?
«Capisco la posizione di Angela Merkel: non può impegnarsi in un appoggio pieno se da parte degli altri non c’è un impegno pieno per le riforme».
Quando parla di «creatori di realtà » c’è chi ricorderà  che lei contribuì a creare quella della seconda guerra in Iraq. Non una delle realtà  che saranno ricordate come le migliori del secolo.
«È una questione discutibile. In Medio Oriente c’è una nuova realtà  ogni giorno».


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