Assalti politici in nome di Apollo
«Per vedere il genio, occorre il genio» ha scritto James Hillman nel Codice dell’anima. a conclusione della sua riflessione sulla biografia. Contro questo genere letterario impossibile, inevitabilmente menzognero, si sono pronunciati spesso scrittori di fama (Shaw, Auden, Nabokov) e persino un maestro come Holroyd.
Nemici primi del biografo sono i familiari e gli amici, le opinioni e gli aneddoti, spesso il protagonismo malaccorto dei testimoni, le lettere e i documenti dispersi o gelosamente sigillati. Ma secondo Hillman è il daimon l’invincibile elemento che sfida il biografo «… è il daimon che può sentirsi offeso dalla vita sulla terra, anche se tutte le sue energie sembrano dirette a toccare terra e a espandersi nel mondo. Ma non si umanizza mai del tutto». Si possono accumulare fatti e spiegazioni, ma il daimon resta sfuggente. Non sono i fatti che raccontano il daimon, ma le favole che ha raccontato raccontano chi è. Un frammento di Eraclito fa capolino dietro Hillman: «All’uomo è divinità (daimon) il proprio ethos», intendendo per ethos la nozione arcaica di ‘rifugio’, ‘abitacolo per l’anima’. Per raccontare la verità , la storia deve essere deformata. In breve «la storia deve adeguarsi alla eccezionalità del daimon».
L’ordito ideale dei simboli
John Keats passò come una meteora troppo luminosa tra amici affettuosi e gelosi, lui che era sempre stato davanti a loro in tutto, come disse Leigh Hunt. «Bright Star» nel firmamento della poesia inglese del primo Ottocento, alla sua morte nessun amico osò raccogliere la sfida biografica. L’un contro l’altro armato, non collaborarono al progetto biografico di John Taylor, l’intelligente editore, e lasciarono sparsi e inaccurati appunti. L’astioso Charles Brown, autorevole perché era vissuto in stretta familiarità con Keats, aveva bocciato Taylor, «un modesto librario», ma anche la sua memoir trovò ostacoli. Il manoscritto alla fine arrivò nelle mani di Richard Monkton Milnes che, nel 1848, pubblicò Life, Letters, and Literary Remains, of John Keats. Per molti anni questa fu l’unica biografia, per quanto inaccurata, quasi una agiografia.
Del resto lo standard del biografo dovrebbe essere altissimo, se è tenuto a misurarsi con la vita allegorica di Keats. Secondo le sue stesse parole «… sono individui molto squallidi tutti quelli che prendono ogni cosa alla lettera. La vita di un uomo che valga qualcosa è una continua allegoria – e pochi sono gli occhi che riescono a vedere il mistero di una vita – una vita come le Scritture, figurata – che certa gente non riesce a capire più di quanto non capisca il Vecchio Testamento… Shakespeare condusse una vita di Allegoria; le sue opere ne sono il commento» (lettera a George e Georgiana Keats del 14 febbraio-3 maggio 1819).
Dice bene Nadia Fusini, commentando questo passo nella sua introduzione alle Lettere sulla poesia: la vita stessa di Keats è allegorica, dall’interno egli produce «la fine Tela della sua Anima», l’«ordito ideale dei simboli», una vita che altro non è che poesia. Vita infine offerta alla morte, non diversamente dal suicida Chatterton, come pegno di eternità , sigillo di poesia.
Quanti biografi moderni hanno raccontato la vita e le opere di Keats, sfidando l’opacità del proprio lavoro? Dagli anni Sessanta hanno riempito il granaio dello scoiattolo con sempre più fatti e interpretazioni Walter Jackson Bate (1963), Robert Gittings (1968), Stephen Coote (1995) il più attento al contesto politico, Andrew Motion (1998) e in Italia Elido Fazi (2010). Una nuova biografia è in arrivo dagli Stati Uniti che, a sorpresa, si allarga a comprendere oltre a John, «the Cockney Poet», anche il fratello George, «the Cockney Pioneer», – due giovani poveri alle prese con sogni più grandi di loro nel pacchiano splendore della Regency, offuscato da forti tensioni sociali che portarono alla sospensione dell’Habeas Corpus e alla limitazione della libertà di opinione. Non stupisce che tanti cercassero altre patrie, al di là delle acque. Nel giugno 1818 George Keats era partito, con la giovanissima moglie Georgiana, per «The English Prairie», Illinois, terre situate al confine con il Kentucky, tra i due fiumi, Little e Great Wabash, di cui a Londra si faceva un gran parlare per il basso costo, l’opulenza della natura (che si rivelò falsa), la facilità di guadagno.
Ormai al granaio dello scoiattolo occorre aggiungere un silos perché il raccolto americano è straripante. The Keats Brothers. The Life of John and George Keats di Denise Gigante (The Belknap Press of Harvard University Press 2011, pp. 499) è un patchwork coloratissimo di microstorie recuperate dalle cronache locali, dagli archivi, dal folklore – rarissimi i riscontri con la grande Storia. Nel Nuovo Mondo il raffinato migrante inglese scopriva somiglianze ingannevoli e strabilianti differenze: le taverne e gli alberghi con gli stessi nomi, la log cabin, equivalente del cottage, un sola stanza, senza finestre, e per porta una pelle d’orso – così era quella di Lincoln bambino -, la parità assoluta tra borghesi, bottegai, servitori, padroni, schiavi. Improvvisi fallimenti e improvvise fortune. Spingendosi nel Far West non si incontravano più commercianti e artigiani, ma rozzi avventurieri, gran bevitori di whiskey, pronti a selvaggi pugilati, alla pratica del gouging, ossia cavare letteralmente gli occhi all’avversario, o a staccargli il naso o un labbro.
George si fermò nella desolata (allora) Louisville, Kentucky, convinto dallo straordinario J.J. Audubon, il pittore dei meravigliosi Birds of America, a comprare il suo diabolico mulino. In due anni, 1818-19, John, da generoso fratello maggiore, forse anche intenerito da un George in Kentucky leggings, inviò alla coppia sei lettere-diario, lunghissime, scherzose ma anche impreziosite da confidenze che sono sprazzi di poetica – The Camaleont Poet e Life as Allegory – e qualche volta con sonetti e frammenti poetici vari.
Nel 1819 l’economia americana era entrata in crisi, e George che aveva perso i suoi soldi in affari sbagliati tornò a Londra per raccogliere quanto più poteva. C’era da spartire quel che restava della parte del povero Tom, appena morto, e come al solito George approfittò dell’addolorato distacco del fratello maggiore per lasciarlo con le tasche vuote, affidato alla generosità di Charles Brown. Che mai lo perdonò. Dopo la morte di John, George fu costretto dagli amici a rimborsare almeno parte delle spese sostenute per il viaggio a Roma.
La biografa ha appeso specchi che catturano la vita da curiose angolazioni. Non teme di eccedere nell’uso del modale may per suggerire piuttosto che asserire, specialmente per quanto riguarda i sentimenti di Tom e di George. Al contrario è informatissima sui raffreddori e i decessi della famiglia reale inglese, del principe Edoardo, di Giorgio III, George IV, e su tutti i Keats. Il medico inglese di John a Roma non credeva che la tisi fosse contagiosa, e attribuì alla congenita superstizione italiana l’uso di distruggere col fuoco ogni traccia del suo passaggio. Di certo George non ispirò le grandi odi del fratello poeta, come insinuano certe presentazioni del volume, ma il dolore per la sua assenza è gridato in certi versi inclusi in una lettera a Fanny, datata ottobre 1819, una angosciata invettiva contro l’America, ignorata da Denise Gigante.
Claustrofobia politica
Come si era affacciato alla ribalta del secolo il giovanissimo poeta? Con un sonetto che ammonisce l’Europa contro il potere della Santa Alleanza, «Spezza le catene, e arditamente dì che libera sei;/ dà leggi ai re – metti un freno ai grandi; /E dopo gli orrori del passato conquisterai un destino più felice». Keats ha diciannove anni e non ha studiato i classici a Eton, Oxbrigde, o filosofia a Heidelberg come i grandi romantici suoi contemporanei, il demotico Wordsworth, il filosofico Coleridge, i due aristocratici espatriati Shelley e Byron. È un autodidatta, presto capofamiglia, con pochi soldi in tasca, e stretto nei crudeli vincoli dell’Inghilterra post-Waterloo.
Erano anni di crisi economica, tassazione pesante, disoccupazione e repressione poliziesca. La claustrofobia politica era aumentata dalla predicazione della chiesa di stato, che aveva il compito di tenere buone le masse affamate e senza voto. La legge sul grano del 1815 che proteggeva i guadagni dei latifondisti mentre i salari diminuivano e la «legge bavaglio» contro la libertà di opinione alla fine sfociarono nei tragici fatti di Manchester, il cosidetto Peterloo Massacre, quando una pacifica adunata di 80.000 persone che si era raccolta per ascoltare il famoso oratore radicale Henry Hunt, fu brutalmente attaccata dalle forze dell’ordine: «Allorché Hunt cominciò a parlare venne arrestato, e la cavalleria caricò improvvisamente la folla, sciabolando alla cieca in ogni direzione. In pochi minuti undici furono uccisi, e circa quattrocento feriti »(Morton).
Erano gli anni in cui Jane Austen pubblicava Emma, l’idilliaco romanzo che avrebbe insegnato alla futura ereditiera che non ci si sposa al di fuori della propria classe sociale. Con l’amico Charles Cowden Clark, John leggeva «The Examiner», il settimanale radicale diretto dai fratelli Hunt, Orator Henry e Leigh James, che aspramente attaccava i politici e il regime. Nel febbraio 1815 Leigh fu condannato a due anni di prigione e a una multa di 500 pound per aver scritto contro il Principe Reggente. Americano di origine, era un uomo affascinante, un soave ottimista che in prigione ricevette l’omaggio degli intellettuali liberali. Keats gli dedicò un brutto sonetto, ma lo incontrò nell’ottobre del ’16, e fu la sua fortuna. Pubblicò sull’«Examiner» e fu malignamente bollato come appartenente alla ‘Cockney School of Poetry’ di Leigh Hunt. Keats reagì aspramente.
Astrazioni delfiche
L’attacco del terzo libro dell’ Endimione (1818) e l’incompiuto Iperione (1819) sono assalti politici di un giovane che ha sradicato dal cuore ogni domestica inglesità e gli occhi ha fissi sui divini Elgin Marbles. Apollo è il suo numen, il dio della rivolta al vecchio ordine nel nome di quella Bellezza che è Verità . «Johnny piscia a letto» (Byron) ha osato il sogno più alto del romanticismo europeo, quello che lui stesso definisce «una sorta di Astrazione delfica, una cosa splendida dall’essere riflessa e filtrata in una Nebbia».
Related Articles
L’intero pianeta è sotto scacco
POTERI OCCULTI
Un intervento della sociologa americana Susan George, ospite al festival Internazionale di Ferrara. Le «autorità illegittime» dell’Europa sono le imprese transnazionali: come un governo ombra, agiscono attraverso le lobby e gli oscuri comitati di esperti, decidendo tutto ciò che riguarda la nostra vita quotidiana
Habermas: “Una partita a poker per i posti di potere ma così l’Europa sarà colpita al cuore”
Il filosofo Jürgen Habermas lancia l’allarme: “Si mostra troppo disprezzo verso gli elettori ” “Nessuno dei capi di governo sembra in grado di uscire dai giochi sottobanco e di dare risposte all’avanzata populista”
Hesse e il segreto di Buddha
Il piccolo romanzo — che Hermann Hesse iniziò a scrivere nell’inverno del 1919 — nasceva anche come reazione alla guerra e alle sue devastazioni. Da tempo nella sua mente si era affacciata l’idea che l’Europa fosse una civiltà al tramonto. Qualche anno prima lo scrittore aveva compiuto un viaggio in India che ebbe il sapore dell’iniziazione e dell’allontanamento dall’Europa: «Io la fuggivo e quasi la odiavo, l’Europa, con il suo gusto pacchiano, con il suo frastuono da fiera di paese, con la sua inquietudine senza respiro, con la sua rozza e stolida smania di godere», scrisse in un saggio che ora vede la luce — insieme a una piccola raccolta di lettere, a brani di diario e ad altri contributi — in appendice a una nuova edizione di in uscita il 5 settembre da Adelphi (nella bella traduzione di Massimo Mila).