ARTE MOSTRUOSA COSàŒ LA BELLEZZA È RIMASTA FUORI DAI MUSEI

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Quando la mostruosità  diventa l’oggetto di una scienza naturale rispetto alla quale il mostro cessa di essere oggetto particolare per divenire un soggetto comune di esperienza, anche la sperimentazione nell’arte pretende, da parte sua, di analizzare, di decomporre le forme della propria tradizione per trarre dalla loro dislocazione e dai loro rimontaggi delle luci sull’essere stesso dell’uomo e sulla sua universalità . Il particolare non è più l’eccezione, ma la porta d’accesso alla regola. È nel momento in cui la teratologia si costituisce come scienza e rivendica la gloria di creare il proprio oggetto che l’arte a sua volta si affranca, o così crede, dalla servitù di rappresentare la realtà  e rivendica la libertà  di creare un’opera indipendente, autonoma e autogiustificativa, che non dovrebbe più nulla se non a se stessa. L’unica differenza: la scienza si basa su delle regole, mentre l’arte ha la pretesa di distaccarsi da qualsiasi razionalità . La scienza spiega ormai la presenza, se non la necessita del mostro, l’arte lo moltiplica e gli dà  ogni potere. Le regole che avevano retto la pratica della pittura o della scultura, le leggi della rappresentazione spariscono nella misura in cui questa si allontana dalla scienza del corpo. L’arte ha la pretesa di rivaleggiare con la scienza e di perseguire uno stesso oggetto, nel momento stesso in cui l’arte e la scienza si separano. Odilon Redon può continuare a dipingere dei ciclopi, mademoiselle de l’Espinasse ha da tempo deciso: «Il ciclope potrebbe in realtà  non essere un essere favoloso».
Fino all’inizio del secolo XVIII, artisti e scienziati, pittori e medici, si incontravano e mettevano a confronto le loro esperienze negli stessi teatri anatomici, a Parigi come a Padova, dove si insegnava l’arte a disegnare correttamente i corpi, così come si insegnava, nell’arte della medicina, la facoltà  di curarli. Ma l’arte abbandona gli anfiteatri di anatomia e le loro regole di costruzione del corpo umano abbandonandosi ormai alle avventure e alle aberrazioni delle morfologie dell’avanguardia, e questo movimento di allontanamento ha luogo nello stesso momento in cui, da un movimento di avvicinamento contrario, è dall’incrocio tra l’anatomia comparata e l’embriologia che nasce la scienza di una teratologia che tenta di stabilire la norma a partire dall’abnorme. Ma l’arte, da parte sua, cercherà  d’ora in poi di fondare la propria autonomia tenendosi a distanza dalla norma.
Il concetto, il termine di «Belle Arti» scompare così poco a poco dal vocabolario in quegli stessi anni in cui la biologia stabilisce la continuità  delle forme della vita che dà  al mostro la dignità  di poter spiegare il normale. Tutto accade come se la forma canonica di ieri fosse considerata oggi come una tappa embrionale transitoria fissata o alterata nel suo sviluppo – così la mostruosità  è definita dalla biologia – e la morfologia mostruosa, al contrario, nelle sue mutilazioni, nelle sue escrescenze e difformità  senza fine, fosse ormai vista come un passaggio al limite in cui perfino l’eccesso, la smisuratezza, può spiegare la norma. I mostri non sono più pensati ormai come delle eccezioni, ma come delle conferme, in qualche modo per assurdo, delle leggi della procreazione naturale.
Il Bello stesso non è più che una varietà  tra le altre delle forme possibili dell’essere, e non più la sua categorizzazione più alta. In una tale continuità , ogni singolarità  può trovare il suo posto come grado, come passaggio. (…) Georges Bataille aveva visto nel museo come istituzione pubblica una creazione che sarebbe legata allo sviluppo della ghigliottina.
Ma la conclusione del suo articolo sul Museo è altrettanto provocante. I luoghi ove una volta venivano mostrate le opere d’arte dipendevano dalla natura e dalla funzione di queste ultime. Nei templi, nelle chiese e negli altri luoghi di culto, le opere erano disposte per celebrare la bellezza di Dio e dell’universo che aveva creato. Nei palazzi, la grandeur dei re e dei principi. Nei cabinets de curiosité,
il sapere e l’intelligenza dell’uomo di gusto. Ma il museo pubblico è oggetto di uno strano rovesciamento: esso diventa il contenitore, afferma, di un contenuto che è ormai composto dalla crescente massa dei visitatori e dei curiosi. Là  dove la collezione antica traeva la sua natura e il senso della propria meta, la collezione pubblica non è più che un contenitore inerte, amorfo, indifferente, nel quale una folla gigantesca ed entusiasta – «un’umanità  liberata dalle preoccupazioni materiali» – crede di scoprire la propria immagine che sarebbe ormai simile alle celesti apparizioni degli angeli e degli dèi. «Il museo è lo specchio colossale – concludeva – nel quale l’uomo si contempla finalmente in tutte le sue facce, si trova letteralmente ammirabile e abbandona all’estasi stampata in tutte le riviste d’arte».
«Colossale», decapitato, contenuto insensato di una massa immensa, informe e convulsa: quale definizione più bella del mostro di oggi di questa mostra dell’uomo attraverso il museo, visto come il corpo del Leviatano, e che pretende ormai di incarnare «la più grandiosa» realizzazione della nostra cultura?
Traduzione di Luis E. Moriones (tratto da HUBRIS: La fabrique du monstre dans l’art moderne, Paris, Gallimard).
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