A un passo dal cielo
«Oggi ci riprendiamo il Parlamento, eletto da milioni di egiziani». Così dichiara al manifesto il portavoce di Libertà e giustizia, Yasser Ali. Questa mattina dovrebbe tenersi la prima sessione della Camera dopo lo scioglimento disposto dalla Corte costituzionale. «Se non ci fanno entrare in Parlamento andiamo dalla polizia», ha ribattuto Sabah Salaa, deputato di Libertà e giustizia.
I Fratelli musulmani sono a un passo dalla conquista della presidenza della Repubblica. Ma lo scippo del Parlamento è una ferita insanabile. Domenica, nel cuore della notte, Mohammed Morsy ha annunciato tra i suoi fedelissimi di aver vinto le elezioni. Un capannone fatto di stoffa colorata costeggia l’antico quartier generale dei Fratelli musulmani in via Mansour numero 28, a due passi dal Ministero degli interni e dai muri eretti dai militari. Dal secondo piano si odono canti di giubilo che inneggiano ad Allah e alla nazione. Nei sotterranei, nell’ora della preghiera, si inginocchiano i proseliti di Libertà e giustizia. Nessuna esagerazione, la gioia è viva ma composta. I Fratelli musulmani non sono abituati ad esultare.
Alla spicciolata, in una notte caldissima, sono arrivati i dati degli exit poll, condotti da uomini della fratellanza. Un milione di voti separerebbe Morsy da Shafiq. E la tensione si è sciolta all’improvviso, i compagni di partito sono scoppiati in grida e applausi. A quel punto, Mohammed Morsy, professore della facoltà di ingegneria, ha attraversato la sala tra scatti di fotografi e le braccia serrate del servizio d’ordine che ha impedito alla folla di travolgerlo. «Grazie a Dio che ci ha permesso di vincere il ballottaggio» – ha iniziato Morsy, con il suo accento non molto urbano, circondato da Essam el-Arian, vice presidente di Libertà e giustizia, e Saad el-Katatni, presidente della Camera uscente. La folla ha incitato a canti rivoluzionari. «Non vendicheremo nessuno, io sono anche il presidente dei copti, voglio uno stato laico, democratico e costituzionale che non dimentichi gli ultimi che vivono per strada né i martiri della Rivoluzione» – ha continuato Morsy, certo della vittoria. E così lunedì piazza Tahrir si è svegliata in festa per lui. «Oggi sento che la rivoluzione è compiuta, non avrei mai accettato la vittoria di Shafiq e tutta la violenza che avrebbe determinato», racconta sorridente Moataz.
Ma la giornata non ha mancato di riservare sorprese. Anche se i risultati definitivi saranno annunciati solo giovedì, secondo la televisione di stato, su oltre il 90% dei seggi scrutinati, Morsy è in vantaggio a Giza, Alessandria, Minya, Assiut, Fayum e Suez. Mentre Ahmed Shafiq conquista il Cairo. E vince a Port Said, Dakhleya, Mounoufeya e Sharkeya. L’affluenza alle urne dovrebbe attestarsi sui livelli del primo turno, quando aveva votato il 46% degli aventi diritto. Questa volta i seggi si sono riempiti domenica pomeriggio, seconda giornata elettorale, con i sostenitori di entrambi i candidati che hanno motivato i più restii a recarsi alle urne. Ad aspettare per entrare ai seggi c’erano soprattutto donne e cristiani copti. Alla chiusura, nella scuola media el-Baheia di Sayeda Zeinab, alle dieci in punto di domenica, gli scrutatori hanno vuotato le urne su un lungo tavolo di legno, mentre i militari chiudevano i cancelli ai curiosi. In questo seggio, Morsy ha prevalso per pochi voti, con un alto numero di schede nulle.
Ma nel pomeriggio di lunedì sono arrivate puntualmente le prime contestazioni. C’erano facce lunghe nel quartier generale di Ahmed Shafiq. «I Fratelli musulmani diffondono voci false, secondo i nostri dati Ahmed Shafiq è in testa», commenta al manifesto Ahmed Sarhan, portavoce del candidato nazionalista. «Abbiamo notizie di un ampio raggio di brogli, dalla stampa di schede già votate a favore di Morsy a bus organizzati per portare i suoi elettori nei seggi», continua Ahmed con gli occhi di chi si arrampica sugli specchi. In realtà , le denunce di brogli sono numerose da entrambe le parti. Secondo testimoni, alcune attiviste, fuori dai seggi nel centro del Cairo, hanno distribuito banconote da 100 ghinee (13 euro) come compenso per un voto ad Ahmed Shafiq. A quel punto dei bambini sono stati incaricati di entrare nei seggi per verificare il rispetto della promessa elettorale dentro la cabina. Altri raccontano invece di vestiti e tuniche mortuarie regalate dalla fratellanza, un segno tradizionale di perdono e riconciliazione. «Le violazioni ci sono state, ma non sono tali da rendere invalido il voto», conferma al manifesto Denis Kadima dell’Istituto elettorale per la democrazia sostenibile in Africa.
D’altra parte, la grande manifestazione prevista per questa mattina nei pressi del Parlamento si oppone anche alla dichiarazione costituzionale annunciata dai militari. La presidenza della Repubblica viene svuotata dei suoi poteri. Il Consiglio supremo delle forze armate mantiene il veto sugli atti presidenziali e sulla legge di bilancio. Mentre al presidente rimane il potere di nominare governo e primi ministri. Come se non bastasse, dopo lo scioglimento del Parlamento, il potere legislativo torna al Consiglio supremo delle forze armate. Tuttavia, questi articoli vengono duramente contestati da molti costituzionalisti.
È in atto in Egitto un conflitto tra centri di potere che tende a svilire il ruolo del Parlamento e a limitare la libertà d’azione degli islamisti in vista della vittoria di Morsy.
Related Articles
Cambio di passo per gettare le colpe sui repubblicani
NEW YORK— «Americani, chiamate il vostro rappresentante in Parlamento. Mandate email. Dite che volete che appoggi una soluzione ragionevole, di compromesso. Non possiamo rischiare il default, è da irresponsabili. Il costo del denaro schizzerebbe in alto per tutti, una catastrofe.
Monti: “Non è stato un fallimento” A marzo la firma del nuovo Trattato
Vertice a Roma con Merkel e Sarkozy entro gennaio Siparietto tra la portavoce e il premier. “Io riposare? Devo tornare al lavoro”
La resurrezione dell’URSS
Proviamo a parafrasare lo storico discorso sulla nascita della «cortina di ferro», che Winston Churchill pronunciò a Fulton, nel Missouri, il 5 marzo 1946. E forse riusciremo a descrivere come, e soprattutto con quali maniere, Vladimir Putin sta cercando di realizzare il suo vecchio sogno di ricreare sulle carta geopolitica la vecchia Unione Sovietica.