by Editore | 18 Giugno 2012 7:15
I barbari ormai premono ai confini, mentre la società cerca di attrezzarsi e di trasformarsi, cercando un contatto diretto, riscoprendo la piazza, serrando le fila davanti ai nuovi possibili scenari e ai nuovi possibili capipopolo. Uno di questi, ad esempio, è lo scrittore torinese Alessandro Baricco, a cui è stata affidata la grande cerimonia d’apertura dell’evento mediatico che sta scuotendo questi ultimi giorni: la discesa in piazza (aspettando il campo) di Repubblica, attraverso una kermesse bolognese confezionata ad arte per tutti coloro che animano la linea editoriale del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, e pasciuto dal gruppo Espresso.
La “Repubblica delle Idee” rappresenta un’iniziativa inedita, in cui per la prima volta un giornale di grande influenza politica, pure se formalmente autoescluso da qualsiasi collegamento diretto con qualsiasi partito (così dicono), si trasforma in un carrozzone tridimensionale e accelera la sua metamorfosi d’avanspettacolo, per “scrivere insieme il futuro”: «Ci siamo presi questo impegno – queste le parole del direttore Ezio Mauro – ma quando abbiamo detto scrivere il futuro lo abbiamo detto non per caso: in parte riguarda il nostro mestiere, raccontando il presente si cerca di decifrare il futuro. Si cerca di trovare dentro al presente quei fili che costruiscono il futuro e si segnalano al lettore. Ma scrivere il futuro non significa ‘scriviamo noi il futuro’, perché scrivere il futuro ci riguarda tutti, tutti noi cittadini” che “dobbiamo ricominciare a fare qualche ragionamento sul domani senza essere sovrastati dall’oggi e dalla crisi”».
Quattro giorni di festa, di celebrazione, di dibattito. Dalla mission del mega-evento illustrata da Mauro, si taglia e si incide il cuore della questione: «Siamo qui perché possiamo parlare del Paese, di noi stessi e di politica. Liberamente». C’è da chiedersi a chi si rivolga quel “noi stessi”, se sia rivolto al “noi popolo”, o al “noi lettori di Repubblica”, o ancor peggio al “noi entourage di Repubblica”, come se fosse una piccola macchia di un’autoreferenzialità traboccante. Perché se l’evento viene presentato come «un giornale che incontra i suoi lettori», e «non un festival, né un meeting e né un congresso», a guardare la serata d’esordio viene da domandarsi su che particolari binari possa avvenire questo incontro.
La piazza c’è, ed è gremita. Le parole ci sono, e ce ne sono anche troppe: peccato però che arrivino tutte dal palco e scendano in basso, verso la platea assiepata e riverente. Dunque, se dobbiamo scrivere il futuro insieme, dateci almeno un foglio di carta, una penna. L’unica visione che si stacca dal coro silenzioso è quella di una lettrice innamorata di Mauro, che si alza per esprimere le proprie pulsioni, manco fossimo al tempo delle mele. Per il resto, assistiamo ad un “incontro” che non fa incontrare nessuno, con un Baricco che intrattiene per un’ora e un quarto i tanti fatiscenti co-autori del futuro, attraverso una profonda analisi sociologica in cui lo scrittore evidenzia i crismi dell’evoluzione, del presente che corre veloce e della mancanza di quella mediazione ormai distrutta, cosa che a detta di Baricco «rischia di far perdere profondità ». La mediazione è disintegrata, i “barbari” corrono veloci, ma secondo lo scrittore disperdono tradizioni e pezzi di passato, indispensabili per decifrare il presente. Perché un tweet corre e arriva prima di una riunione di redazione, lasciando però indietro tutta la cornice dell’evento che vuole raccontare: una cornice che invece il giornale può spiegare meglio, inserendo l’accaduto in un contesto, arricchendo l’informazione di particolari sconosciuti al volgo. Un discorso ampio e sontuoso, un monologo senza pause, che parte dall’Olanda di Cruijff e Neeskens e si conclude con la musicoterapia amorosa di Handel e del suo oratorio “Salomon”, de “Le Nozze di Figaro” di Mozart, e dell’aria “Amami Alfredo” cantata da Maria Callas.
Le mediazioni sono dunque importanti, e non vanno sacrificate sull’altare del progresso. Il fatto che un paventato festival dell’incontro paritario tra intellighenzia e popolo venga introdotto dalla prosopopea della mediazione che se ne va, soffocata da “quelli che respirano con le branchie di Google”, appare evidentemente un paradosso. Come a voler dire: «Vengo a prendere il caffè a casa tua, portandomi caffè e caffettiera da casa, perché il tuo fa schifo». Fa schifo perché sei barbaro: per Baricco infatti, i barbari non premono ai confini di un Impero in decadenza, ma fanno parte dell’Impero stesso, relegati dallo scrittore in un limbo del quale si riescono a scorgere tutti i possibili pericoli, senza evidenziarne però i pregi, velocità a parte.
Insomma, è bastato assistere alla serata inaugurale per intuire che La Repubblica è presente, mentre le idee latitano. Doveva essere una gigantesca riunione popolare, in modo tale da «mettere in campo idee in grado di smuovere le nostre», per dirla alla Mauro: il risultato è stato una sagra dell’autoreferenzialità , in cui l’unico aspetto emergente è stato proprio quello della rivendicazione di controllo culturale, con quell’aria generale da rockstars che concedono autografi ai fan impazziti. Un girotondo che si spaccia per ventata d’aria fresca, e si presenta sotto forma di stagno: il solito Benigni che interviene in diretta telefonica alla berlusconiana maniera, simbolismi stantii, autocelebrazioni e salotti altolocati adibiti a mo’ di comizio.
A fare da cornice, le pesanti polemiche suscitate dallo sciopero indetto dai giornalisti precari, vittime di una politica (aziendale, appunto) abbastanza scellerata da parte del quotidiano romano, che pur si riempie di belle parole. Lo sciopero si articola su vari punti: il rifiuto da parte di Repubblica delle proposte di rafforzamento della redazione, in particolar modo dei siti locali; la prosecuzione nella logica dei tagli di spesa senza presentare un piano di sviluppo; il rifiuto di sostituire i cinque colleghi che hanno presentato le dimissioni nemmeno accelerando l’assunzione degli 11 colleghi individuati da un precedente accordo; la mancanza nell’assunzione di un grafico per R-Sera; l’improprio utilizzo di pensionati e collaboratori. A questo, si aggiunge il comunicato dell’Aser (Associazione stampa Emilia-Romagna), uscito alla vigilia del Festival: «L’Associazione Stampa Emilia-Romagna dà il benvenuto alla manifestazione “la Repubblica delle idee” che verrà ospitata da domani a Bologna. Anche le idee per essere sviluppate e irrobustite hanno bisogno di certezze contrattuali. Per questo l’Aser auspica che lo stesso impegno venga posto dall’editore delle testate del gruppo per regolarizzare le posizioni dei giornalisti precari, a cominciare da quelli di la Repubblica Parma.it, la cui situazione fin dall’avvio dell’iniziativa non è conforme al Contratto come è stato riscontrato anche dagli ispettori dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti (Inpgi)».
Bisognava dunque, a detta dei protagonisti, riunirsi per studiare insieme nuove strade da tracciare, e ci si accorge dopo pochi minuti che loro non hanno alcuna intenzione di studiare, e che la nuova strada non è poi così tanto nuova, ma già pronta da tempo: la penna e il foglio servono soltanto per ricevere indicazioni dettagliate, questo è il reale significato dello “scrivere il futuro”. Un aut aut di raro immobilismo, in cui il potere costituito rivendica l’egemonia tra un sorriso e un cono gelato all’aria aperta. Il travagliato parto da così alla luce una sorta di riunione aziendale travestita (male) da festa dell’Unità , in cui si tenta di “civilizzare” i barbari “impropri” che, come già accennato in precedenza, son quelli cresciuti tra le mura. Gli altri barbari (quelli veri) rimangono ai confini e continuano a premere, aspettando il giorno in cui verranno a saccheggiare tutta la boria di questa società che ammaestra sapientemente il progressismo a forza di botte reazionarie. Insomma, una vera idiozia conquistata a fatica.
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