Venti di guerra nel Mar del Cina scontro sulle isole del petrolio
La Dea della pietà guarda dai suoi 70 metri di altezza un mare pieno di ricchezze e di burrasca: la statua buddhista in marmo più alta della Repubblica socialista del Vietnam si alza come un faro sulla spiaggia della città di Da Nang e su una porzione di mondo che da mesi è al centro di una contesa territoriale esplosiva. Petrolio e gas in enormi giacimenti ancora inesplorati, una rotta commerciale che da sola vale un terzo dei traffici marittimi mondiali hanno scatenato gli appetiti di governi e multinazionali. E rischiano di scatenare una guerra nel Mar cinese meridionale. Quella fredda, diplomatica e commerciale, ha già toccato picchi di tensione mai visti dalla fine della “guerra americana”, come i vietnamiti chiamano il conflitto chiuso nel 1975. Quella vera la minaccia a più riprese la Cina. Contro il Vietnam, ma anche contro le Filippine, la Malaysia, Taiwan, Brunei. La disputa è su una piccola serie di isole disseminate in quel braccio di mare, l’obiettivo sono i giacimenti sotto il fondale. Terra e acqua cinesi, secondo Pechino, che rivendica 1,7 chilometri quadrati di mare e non è disposta a trattative. E tuona: «Nel Mar della Cina si tornerà a sentire il rombo dei cannoni».
E i cannoni sono pronti davvero. Forse solo come segnale di determinazione. Ma intanto la marina cinese ha schierato le sue navi. Così come hanno fatto le Filippine che al largo della secca di Scarborough, uno dei territori contesi (insieme agli arcipelaghi Paracel e Spratleys), ha mandato la sua nave da guerra più grande. E come il Vietnam che proprio a Da Nang, al top della tensione diplomatica, tre settimane fa, ha avviato un’esercitazione militare congiunta con la Marina degli Stati Uniti. Ci sono già stati incidenti: un mese fa otto pescherecci cinesi sono stati avvicinati dall’ammiraglia filippina. La Cina ha schierato subito le sue navi per impedire l’arresto dei pescatori. Uno stallo durato giorni e risolto solo dopo frenetiche consultazioni diplomatiche. Ieri nuove tensioni. Il ministro degli Esteri cinese ha ribadito la posizione ufficiale del governo (che invoca la calma, ma chiede a Manila un passo indietro), ma il China Daily, il più diffuso quotidiano in inglese del Paese e voce del partito, è stato decisamente più esplicito: «Nonostante la nostra disponibilità a discutere la questione, le autorità filippine sono determinate a spingerci in una situazione in cui l’unica soluzione saranno le armi». Stessa posizione espressa sul quotidiano dell’esercito cinese: «Il governo, il popolo e le forze armate cinesi non consentiranno a nessuno di fare tentativi per toglierci la sovranità sull’isola di Huangyan (come i cinesi chiamano le secche di Scarborough)».
Ma perché tanto interesse per isole semidisabitate? Gas e petrolio sono la risposta. Sotto il Mar della Cina meridionale ci sono riserve di greggio stimate in 213 miliardi di barili (pari all’80% delle riserve dell’Arabia Saudita, il primo produttore mondiale). Senza contare che sotto quel braccio di mare ci sono anche enormi giacimenti di gas. Uno di questi lo ha scoperto la multinazionale americana Exxon, con una missione di esplorazione partita proprio dal porto di Da Nang a fine anno e organizzata insieme alla PetroVietnam, la compagnia statale di Hanoi. Un episodio che indica anche una giravolta nei rapporti internazionali del Vietnam. Da decenni il governo socialista ha programmato la sua economia sulla falsariga di quella cinese. L’apertura al mercato, ancora parziale, è arrivata appena dopo l’invito di Deng («Compagni arricchitevi»). E come la Cina anche il Vietnam ha registrato un boom economico con crescita a doppia cifra. Tanto che le banche d’affari americane non esitavano a definirlo la nuova tigre asiatica.
Tutto questo fino a due anni fa. La recessione globale ha avuto effetti devastanti. La manodopera a basso costo non basta più, l’inflazione ha cominciato a mangiarsi tutta la crescita: nel 2011 i prezzi sono cresciuti del 18,6%, il Pil del 6%. La Provincia di Da Nang ad aprile ha temporaneamente congelato gli acquisti di beni sopra i 4.800 dollari nel tentativo di raffreddare i prezzi al consumo. Il governo sta tentando nuove vie, come il turismo. Ma i resort di lusso costruiti sulla sabbia di “China Beach”, la spiaggia dove i militari americani andavano in licenza durante la guerra nell’inutile attesa di onde per fare il surf, sono deserti. Ecco perché il gas scoperto con gli yankees è stato visto come un miraggio. Un miraggio che Pechino non vuole diventi realtà .
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