Uomini e donne perdute nella Grande Scossa

by Editore | 22 Maggio 2012 7:49

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Per parlare de La dissoluzione familiare (Indiana Editore 2012, pp. 331, euro 24,50) di Enrico Macioci, scrittore aquilano qui alla sua seconda prova dopo I racconti del terremoto (Terre di Mezzo), è necessario in primo luogo sfogliare il libro e porre attenzione alle strutture paratestuali. Quello che immediatamente risulta visibile all’occhio del lettore è la composizione della pagina, dove il testo centrale in inchiostro nero è circondato dalle note al testo stesso, redatte in inchiostro rosso; il tutto accompagnato dai disegni a china di Maurizio Rosenweig. La quantità  delle note è tale da costituire un approssimativo 50 per cento dell’intero testo, come conferma l’autore in uno scritto definito «nota sulle note». E già  da questa breve ricognizione si comprende facilmente che siamo di fronte a un libro avulso dal panorama letterario italiano. Un libro monstrum certamente non facile, una sfida che l’autore e l’editore, però, vincono. La trama della Dissoluzione familiare non è facilmente riassumibile – l’elenco dei personaggi del romanzo occupa due pagine del stesso – proprio perché le note al testo sono a loro volta delle aperture , delle lunghe e bellissime digressioni al filone principale del romanzo, che è la storia di due famiglie, i Bank e gli Hammer, e della nascita di un bambino di nome Poppy, che modificherà  i loro equilibri di convivenza. Il tutto ha come sfondo una città  sopravvissuta alla Grande Scossa, nella quale il lettore ritroverà  facilmente la descrizione dell’Aquila e delle sue strade spettrali. A questa narrazione se ne affiancano altre, talmente tante che sarebbe uno sforzo improbo darne conto nel breve spazio di una recensione, senza contare che si rischierebbe di impoverire l’esperienza del lettore, avviluppato nei meandri del libro. Una struttura in equilibrio precario, che Macioci mantiene tuttavia sempre salda: se la storia si sfalda e si dissolve come i palazzi e le architetture durante la scossa di terremoto, lo stesso non può dirsi della scrittura limpida, sorretta da una aggettivazione precisa, tesa a costruire l’ossatura degli episodi e dare il tono all’intero libro. La prosa e l’invenzione di Macioci risentono palesemente degli influssi di una certa narrativa contemporanea statunitense (in particolare Infinite Jest di Wallace) o italiana ( Perceber di Leonardo Colombati), ma in realtà , a livello più sotterraneo, i testi cui far riferimento per comprendere il romanzo sono altri, e soprattutto i poemi eroicomici, dal Morgante del Pulci al G argantua e Pantagruel di Rebelais (non tralasciando il romanzo di Sterne). In Italia questo genere, pur avendo prodotto l’Orlando Furioso o i Capitoli del Berni, è sempre risultato minoritario (per dirla con sommaria semplificazione la letteratura italiana procede più da Petrarca che da Dante e i suoi pochi epigoni) e i lettori possono quindi essere inizialmente disorientati da questo romanzo, che porta però in dote una voglia liberatoria e piacevole di raccontare. Come quando, appena passato uno spavento o un momento tragico, la gente si ritrova in cerchio e prova con le parole a dire ciò che è accaduto. Lungo esorcismo di chi ha visto le proprie case crollare e si è trovato senza niente se non le parole per dire e significare questo crollo, La dissoluzione familiare è ironico, dissacrante, addirittura divertente – ma di un riso liberatorio che mostra la meschinità  dell’essere umano nel culmine di una tragedia.

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