Un’«action poetry» socialmente responsabile che assimila i tratti espressivi della protesta

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Chi sono invece i protagonisti di Occupy? 
Oggi la protesta OWS non nasce dai giovani o da un’élite di intellettuali ma, come è avvenuto durante la Grande Depressione, da masse unite da condizioni di oggettiva povertà . La classe media, che rappresenta la maggioranza degli americani, rischia di essere smantellata e protesta per il disagio prodotto dai mutui onerosi che ha sottoscritto con le banche e dagli sfratti collettivi che ne sono seguiti. In un intervento che ho intitolato Non è possibile sfrattare un’idea (jacket2.org/commentary/you-can%E2%80%99t-evict-idea-poetics-occupy-wall-street), spiego come, diversamente dal ’68, gli studenti schierati contro il partito dei banchieri non si limitano a prendere una posizione politica solidale verso le classi diseredate poiché loro stessi soffrono del generale peggioramento delle condizioni di vita, in seguito all’aumento delle tasse universitarie e degli interessi sui prestiti d’onore, e alla precarizzazione dei docenti che dequalifica gli atenei in cui studiano. Facendo lievitare il costo dei servizi in assenza di un sistema di tassazione proporzionale ai redditi, la crisi globale accentua drammaticamente le disuguaglianze. 
Qual è il rapporto con la presidenza Obama e in genere con la politica istituzionale?
La politica istituzionale fatica a elaborare la protesta degli occupanti, che rifiutano le sue vecchie formule ideologiche e praticano forme di solidarietà  neo-vittoriana, se non francescana, costruendo reti no-profit, nella tradizione filantropica di metà  Ottocento. Oltre alla sua composizione interetnica, una caratteristica di questo movimento è quella di essere molto pragmatico e disposto a mettersi in gioco, producendo azioni di disturbo socialmente utili come l’occupazione e il ripristino di spazi pubblici abbandonati. Nel rappresentarsi come la protesta del 99% contro l’1% che detiene tutto il potere finanziario e amministrativo, milioni di persone hanno portato nelle strade americane richieste che non trovano risposta nel neoliberismo della sinistra mediocratica, il cui obiettivo sembra essere solo la rielezione di Obama. In verità , le questioni che oggi solleva OWS all’inizio rientravano nel programma di governo del presidente, prima che la pressione di banche e multinazionali lo riportasse sulle attuali posizioni centriste. 
A proposito dell’estetica OWS, come si potrebbe definire il suo stile di discussione?
Con le sue reiterazioni corali che aggirano il divieto dell’uso del microfono, OWS privilegia uno stile salmodiante neo-beat e forme ritualistiche che fanno pensare più a una matrice religiosa che alla militanza politica in senso stretto. Si tratta, però, di una religione laica che sollecita la poesia a intervenire creativamente in questi protocolli per infondervi una coscienza internazionalista e pacifista poiché, per quanto questo movimento costituisca in America il fenomeno di massa più significativo dopo quello che pose fine alla guerra del Vietnam, gli occupanti di Wall e Main Street hanno il grande limite di percepirsi solo come una forza locale e contingente. OWS potrebbe insomma, paradossalmente, riprodurre l’«orizzontalismo» che David Harvey imputa alla politica delle sinistre neoliberiste, correndo il rischio, cioè, di accentuare, nel suo pragmatismo, le autonomie locali e cercando qualche sporadico correttivo solo nel consociativismo delle municipalità  democratiche. Va detto, però, che questo movimento ha mostrato di voler fare di più, mettendo d’accordo, dopo quasi un secolo, tutti i sindacati americani, sulla necessità  di risolvere il divario generazionale tra occupati e precari, per evitare che giovani «marginalmente occupati» alla lunga individuino un antagonista nel loro maestro democratico con un lavoro sicuro. 
Come si traduce tutto questo nell’opera dei poeti che aderiscono alla protesta?
L’estetica OWS non sviluppa modelli gerarchici e didascalici, ed evita accuratamente che i giovani occupino posizioni secondarie di puro ascolto. Pensando ai modi in cui oggi le loro voci critiche possono attraversare la creazione poetica, più che di voci, parlerei – contro un modello di poesia compiaciutamente intimista e centripeta – di un «vociare» poetico, cioè di una action poetry capace di incrociare la protesta e di assimilarne i tratti espressivi. Una poesia oggettivista perché socialmente responsabile può essere innovativa senza mostrarsi a tutti i costi «nuova» portando, al pari del traduttore che cerca pazientemente un’omofonia con l’originale, la specificità  della sua lettura del testo che il poeta concepisce come «azione».


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