Un lupo solitario alla Carver senza nessun tocco magico
Far-west e far-east, il concorso chiude con due film agli antipodi, non solo geografici, mentre i festivalieri si strizzano le meningi per indovinare i film preferiti del presidente della giuria. Si va per esclusione, no agli austriaci (Haneke e e Seidl, troppo sadici), no ai film troppo «intellettuali» (Mungiu, Loznitsa), no al cinema «violento» (Cronenberg), no ai registi che hanno già vinto una Palma d’oro (Haneke, Loach). Sì alle commedie edificanti (Garrone, Loach, Vinterberg, Kiarostami). Ma. Wes Anderson in che lista sta? E Cosmopolis non è mica La mosca. .. Speriamo che Nanni Moretti ci sorprenda contro le interpretazioni da corridoio dei suoi tabù. Arkansas, lungo le rive del Mississippi insieme a Mark Twain e al suo Huckleberry Finn, Mud (concorso) diretto dall’astro 34enne Jeff Nichols nato al Sundance film festival 2011 con Take Shelter, secondo lungometraggio (il primo, Shotgun Stories si era imposto a Berlino) premiato anche alla Semaine de la critique. Nichols è il più dotato tra la nuova onda americana (vista qui a Cannes) che cerca di coniugare autore e genere e ruota intorno al pubblico teenager stanco dei «trasformers». Gli occhioni di Tye Sheridan si sono già sgranati nel capolavoro di Terrence Malick The Tree of Life e ora ci specchiano nelle acque del grande fiume alla ricerca di qualcuno d’amare, e soprattutto che lo ricambi. Il regista tiene ferma la sua poetica, distilla dal paesaggio acquatico un «mood in love» (più che un «mud» fangoso) pervaso dalla narrativa di un sud romantico e dai sentimenti essenziali secondo Raymond Carver, ma affolla il film di personaggi e storie multiple che restano irrisolti. Colpevole anche la produzione che impone al giovane talento (autore della sceneggiatura) il solito «format» e dissemina l’opera di segnaletiche rassicuranti (la famiglia divisa, la gang mafiosa, l’eroe solitario), con il risultato di un plot pasticciato e «sviste» tali per cui Joe Don Baker (il grande boss di Charley Varrick ) prima muore crivellato di colpi e poi risorge nella scena successiva. Ma nulla può (neanche le strisciate verdi che a un certo punto rigano la pellicola) contro l’indipendenza e la libertà creativa di Nichols e la jam session di grandi attori, a cominciare da Matthew McConaughey ( Contact ) che rinuncia al look da modello e si fa eccentrico Robinson Crusoe, Mud, quasi un homeless dai denti storti, fuggiasco su un’isoletta del Mississippi, ricercato per l’omicidio dell’ex uomo brutale della sua amata da sempre Juniper (Reese Witherspoon, Legal Blonde ). Il 14enne Ellis (Sheridan) e l’amichetto di avventure Neckbone (Jacob Lofland, esordiente) aiuteranno il ricercato che vive in una barchetta «parcheggiata» su un albero a fuggire con la sua donna, ma lei è disillusa, non crede più a Mud. Nessuno gli crede, neppure il misterioso «lupo solitario» del fiume, Tom (Sam Shepard). L’unico è Ellis, che investe nello sconosciuto tutto il desiderio di affetto negato dai gelidi genitori (in via di divorzio) e da una ragazzina troppo adulta per lui. L’antidoto al veleno del Mocassino d’acqua, serpe letale, però, c’è sempre, e il cuore di Ellis ricomincerà a battere. Dalla Corea, Do-Nuit Mat (il sapore del denaro) di Im Sang-Soo (già in concorso a Cannes 2010 con Housemaid ) chiude la gara. Soap opera con delitto molto decorativa (designer di interni , abiti, attori da copertine di Vogue ) sull’ebrezza e la corruzione dei ricchi di Seoul. Ma qui l’autore non riesce a scavalcare il genere e si perde dietro «bunga bunga» asiatici, tradimenti e complotti, sotto lo sguardo innocente di un «maggiordomo», testimone-complice dei putridi padroni, a capo di un impero industriale. La superficie dorata presto (e senza sorprese) si incrina, e il sangue sgorga copioso nel virtuosismo splatter di marca coreana.
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