Tutti dentro. Come nel 1980

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Prima, molto prima che una volante della Polizia violasse il cancello di Coverciano per consegnare l’avviso di garanzia a una stella della nazionale rintanata nel suo letto, il calcio italiano aveva già  provato la vergogna di finire al gabbio in diretta tv. Non c’era internet, il concetto di breaking news era ancora di là  da venire e Jack Dorsey, l’inventore di twitter, aveva poco più di tre anni. Ogni maledetta domenica, gli appassionati pendevano esclusivamente dalle labbra di Paolo Valenti e in un piovoso pomeriggio del marzo 1980 furono proprio gli inviati di Novantesimo Minuto a portare nelle case degli italiani le immagini surreali di Alfette parcheggiate sulle piste d’atletica degli stadi, finanzieri schierati a bordo campo, calciatori ridotti in manette negli spogliatoi dopo esser stati avvertiti da colleghi e avversari. «Occhio, qua fuori c’è il maresciallo che vi aspetta». Svelando così al grande pubblico, cresciuto col mito del Totocalcio, lo scandalo del «Totonero». Scommesse clandestine, partite truccate, giocatori e società  di primissimo piano coinvolti fino al collo. Questo e molto altro fu il Calcioscomesse originario, il primo grande caso di illecito sportivo sistemico, il primo di una lunga serie, il più mediatico ed eclatante fino ai tempi di Calciopoli.
Nel 1980, molto prima di Mauri, Milanetto e soci, finirono in manette il presidente del Milan Felice Colombo e tredici giocatori di serie A e B: tra loro quattro giocatori della Lazio (Giordano, Manfredonia, Cacciatori, Wilson) e uno del Genoa (Girardi), società  coinvolte oggi come allora; ma anche una vecchia gloria azzurra come Ricky Albertosi e il compagno milanista Morini, Pellegrini dell’Avellino, Merlo del Lecce, Magherini del Palermo, Casarsa, Zecchini e Della Martira del Perugia. Mentre Paolo Rossi, Savoldi e altri 18 ricevettero un avviso di comparizione dalla Procura di Roma in seguito all’esposto dei due registi di quel giro di scommesse: Massimo Cruciani e Alvaro Trinca, zingari ante-litteram all’amatriciana. Grossista di frutta e verdura il primo, ristoratore il secondo, Cruciani e Trinca erano frequentatori di numerosi calciatori, per conto dei quali puntavano forte nel giro delle scommesse clandestine gestito dalla Camorra, dopo aver combinato con i diretti interessati il risultato di alcune partite sicure. Non sempre però le partite andavano a buon fine e così i due, indebitati fino al collo e minacciati dagli allibratori, raccontarono ai magistrati il lato oscuro del campionato di calcio italiano: le combine organizzate, talvolta con l’avallo dei club, attraverso giovani acclamati campioni, vecchi marpioni e autentici carneadi della pedata. Tutti accomunati dalla conoscenza dei due intrallazzatori romani che accompagnavano alcuni di loro a fare benzina in Vaticano (Cruciani riforniva la Santa Sede), li chiamavano al telefono, li andavano a trovare in ritiro e negli alberghi per fare pressione, proprio come gli zingari. Ci vollero due mesi perché le prime indiscrezioni trapelate dagli uffici giudiziari e nervosamente smentite da tutto l’ambiente (unica eccezione quella di Maurizio Montesi, giocatore della Lazio che militava in Lotta Continua), sfociassero negli arresti annunciati in tv da un giovanissimo Bisteccone Galeazzi.
L’Italia, che di lì a pochi mesi avrebbe ospitato i Campionati Europei, accolse con incredulità  e sbigottimento il memoriale dei due grandi accusatori. Nessuno voleva credere che atleti che valevano miliardi potessero vendersi per poche decine di milioni. Tutti si dichiaravano estranei e sereni, proprio come i calciatori sfilati in Procura a Cremona a partire dall’estate di un anno fa. All’inizio tenne botta la tesi del complotto e della vendetta di due mitomani. Poi però le prove, i riscontri, le prime ammissioni aprirono gli occhi al popolo degli appassionati. Il processo sportivo, celebrato in giugno, condannò il Milan e la Lazio alla serie B e penalizzò Avellino, Bologna, Perugia, Palermo e Taranto. Furono inoltre squalificati con pene pesanti il presidente del Milan Colombo e ventuno giocatori, tra i quali Paolo Rossi, che così perse l’appuntamento degli Europei dopo essere stato la stella dei Mondiali del ’78 in Argentina. Juventus e Roma si salvarono tra i sospetti, Cruciani non si presentò in aula a testimoniare contro il club bianconero per un pareggio concordato col Bologna (anni dopo il centravanti Carlo Petrini racconterà , mai smentito, i retroscena di quel salvataggio comprato a suon di milioni). La sensazione fu quella di aver solo sfiorato la punta di un iceberg. Scarcerati dopo 11 giorni, gli attori dello scandalo si trasferirono poi sulle panchine dell’aula bunker del Foro Italico, la stessa che avrebbe ospitato i brigatisti del sequestro Moro. Finì, contro ogni attesa, con un’assoluzione generale, perché all’epoca truccare le partite di calcio non era considerato reato. Rimasero le condanne sportive, che però si esaurirono in fretta, restituendo agli italiani, una volta passato lo sdegno, il loro sport più amato. Pablito Rossi finì di scontare la squalifica subito prima dei Mondiali di Spagna, dove con i suoi gol spianò la strada all’amnistia sull’onda dell’entusiasmo popolare.
«Nel paese dei Tanassi non c’è da meravigliarsi se un giocatore vende la partita», disse ai giornali Montesi, calciatore assolutamente atipico, acuto e sensibile, colto e impegnato, che aveva rifiutato di partecipare alla combine di Milan-Lazio e che per primo aveva confermato che nel calcio si scommetteva, eccome. L’Italia era un paese attraversato dalla corruzione, nel ’78 aveva visto la condanna dell’ex ministro Mario Tanassi e le dimissioni del presidente della Repubblica Giovanni Leone per lo scandalo Lockheed. Fatte le debite proporzioni, ognuno è libero di fare i confronti che vuole con l’Italia corrotta di oggi. Il 1980 fu però soprattutto un anno terribile per il nostro paese. La strage di Ustica, quella di Bologna, il terremoto in Irpinia. In qualche modo la linea di confine che separa il decennio buio del terrorismo, degli anni di piombo, della strategia della tensione, dai «ruggenti» anni Ottanta, quelli del riflusso, del benessere diffuso, dell’ostentazione, di quella «Milano da bere» che lascia intravedere, sotto la sua patina di vitalità  e di efficienza, i primi sintomi della corruzione diffusa che sarà  all’origine della fine della Prima Repubblica.
Senza andare oltre in spericolati paralleli, restano alcuni punti fermi che legano il Calcioscommesse casereccio del 1980 a quello super-globalizzato del 2012. Il ruolo della criminalità  organizzata innanzitutto, ieri la Camorra e forse sotto sotto la Banda della Magliana (che controllava tutto il marcio della Capitale, dalla droga ai sequestri, dalle rapine alle corse dei cavalli, figurarsi il giro miliardario del picchetto), oggi la Mafia di Singapore, gli scagnozzi slavi e ancora la Camorra (un po’ di pazienza, sono in arrivo anche le mosse della Procura di Napoli), che il business delle scommesse non lo ha mai abbandonato, anzi quando è stato legalizzato ci si è buttata a capofitto. In secondo luogo il senso d’impunità  dei calciatori che continuano a tradire se stessi e il loro sport ritenendosi intoccabili. Infine la memoria corta dei tifosi e la tendenza a rimuovere facilmente ogni nuovo scandalo o a negarlo contro ogni evidenza, soprattutto se riguarda la propria squadra del cuore, in attesa del prossimo campionato.


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