by Editore | 4 Maggio 2012 10:07
MILANO — Chiedetelo a un «gassista» convinto e vi risponderà senza esitazione: «Perché compro attraverso un gruppo di acquisto solidale? Perché voglio mangiare bene, genuino, sostenere i piccoli produttori locali e insieme rispettare l’ambiente». Moltiplicate la risposta per 160 mila, tante sono le persone che in Italia avrebbero fatto la scelta Gas, e avrete la portata di un fenomeno in continua crescita ma ancora poco regolamentato. Perché è davvero tutto bio, tutto sano, tutto di qualità , tutto a «km zero» quello che finisce sulla tavola di chi ha fatto questa scelta di consumo responsabile? Tutto no. «Decisamente: ci sono buoni prodotti e cattive sorprese, gioie e dolori», risponde con una prova sul campo l’associazione dei consumatori Altroconsumo. Le gioie sono quelle che fanno parte della dichiarazione d’intenti di ogni gassista. I dolori? «Uva con tracce di pesticidi, mele e pere cresciute sugli alberi dell’Argentina (“quando la merce di casa finisce…”), formaggi freschi con quantità elevate di batteri indicatori di scarsa igiene o sostanze potenzialmente cancerogene». E ancora: «Maiali e conigli allevati con metodo biologico ma in stalle che non sono a norma bio, alimenti ordinati online da aziende che vendono ma non sempre producono».
Altroconsumo ha fotografato quello che definisce un «settore in crescita, pieno di buoni intenti ma non ancora sufficientemente regolamentato» attraverso una prova d’acquisto (e consumo) solidale: carne, frutta&verdura, formaggi freschi comprati da oltre 30 aziende che riforniscono i principali Gas di Milano e Roma, prodotti che sono stati analizzati in cucina ma anche attraverso test di laboratorio. La prima cattiva sorpresa è che nella maggior parte dei casi la merce viene venduta come bio, salvo poi non trovare alcun riscontro di questo tipo in etichetta: «Perché — spiega Franca Braga, responsabile Alimentazione e Salute dell’associazione — non tutte le fasi della filiera ma solo alcune (come l’alimentazione dei bovini) seguono i parametri previsti dalla legge per ottenere la relativa certificazione». Prendiamo poi il simbolo dell’acquisto-gas: la cassetta da cinque chili di frutta e verdura. «Fa risparmiare oltre il 20% rispetto a un negozio bio». Ma quel risparmio nulla toglie alla qualità ? «In tre casi su nove l’uva bio esaminata ha presentato tracce di pesticidi non ammessi — rivela Altroconsumo —: alle tre aziende, una di Milano e due di Roma, è stato dato un giudizio pessimo». Non solo: «La qualità di frutta e verdura nel complesso è risultata poco più che soddisfacente». E ancora: «Eccessivi i quantitativi di scarto: per colpa della scarsa pulizia o per il cattivo stato di conservazione».
I formaggi, poi, quelli freschi come crescenza e primo sale che possono avere maggiori problemi igienici: «Due su otto sono risultati fuori norma — dicono da Altroconsumo —: in uno venduto a Milano sono state trovate quantità elevate di un batterio che indica scarsa igiene (molto probabilmente è stato usato latte crudo). In un altro di Roma erano presenti valori elevati di aflatossine, sostanze potenzialmente cancerogene derivanti dai mangimi». La scadenza invece: «Per il formaggio fresco è di 15 giorni, ma consigliano di consumarlo prima».
La carne Gas ha un costo simile a quella non-bio: «Settanta euro per cinque chili invece di 69». Vale la regola che tutte le parti dell’animale devono essere vendute. «Di farmaci nessuna traccia, ma i tagli non sono sempre all’altezza», continua Franca Braga. Che aggiunge: «Trovare qualche problema non significa che l’intero sistema sia sbagliato. Ci sono tanti aspetti positivi, a cominciare dalle buone intenzioni a tutela dei piccoli produttori e dell’ambiente». Ma attenzione: «È necessario tenere la guardia alta nei confronti dei fornitori. Un Gas deve pretendere, oltre alla qualità , anche la trasparenza delle informazioni. Questo purtroppo non è sempre garantito, almeno nello spaccato che abbiamo esaminato».
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