Tel Aviv rinnega l’accordo, le carceri tornano in ebollizione

by Editore | 29 Maggio 2012 8:00

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GAZA – La corte militare di Gaza city è rimasta chiusa ieri. Il giudice capo è in «vacanza», ha detto un poliziotto di guardia. Era avvenuto lo stesso 15 giorni fa. Nessuno delle autorità  di Hamas ha pensato di comunicare il rinvio dell’udienza. Neppure al Centro palestinese per i diritti umani che segue da osservatore il processo che dallo scorso settembre vede alla sbarra quattro palestinesi accusati del rapimento e dell’assassinio dell’attivista e reporter Vittorio Arrigoni. La nuova udienza è prevista tra un mese, il 27 giugno. È uno scandalo che si ripete nell’indifferenza del governo di Hamas che pure aveva promesso un «processo vero». Di vero ormai non c’è più nulla ma non c’è nessuno a cui denunciarlo. I giornalisti di Gaza – presenti solo alla prima udienza – ieri erano al posto blocco di Hamas, a due km dal valico di Erez. Tutti in attesa dell’arrivo dalla Cisgiordania dei membri della Commissione elettorale centrale incaricati di provvedere con i colleghi di Gaza all’aggiornamento dei registri elettorali locali. Nei prossimi giorni sono previsti nuovi colloqui al Cairo sulla riconciliazione tra Hamas e Fatah e per la formazione di un governo palestinese di unità  nazionale. 
Pochi credono alla «svolta». «Non ricordo più quante volte in passato (Fatah e Hamas) hanno annunciato il raggiungimento di un accordo di unità  nazionale e alla fine è saltato tutto», ha commentato sconsolato Ibrahim Durra, un impiegato. L’avvenimento «vero» per la gente di Gaza è il presidio organizzato alla sede della Croce Rossa dai famigliari dei detenuti politici. L’accordo tra le autorità  israeliane e i prigionieri palestinesi che a metà  maggio aveva messo fine ad un lungo sciopero della fame nelle carceri, è sul punto di crollare. La protesta potrebbe riprendere già  nei prossimi giorni. «Israele aveva accettato di mettere fine alla pratica dell’isolamento prolungato e assicurato che anche i prigionieri di Gaza avrebbero ricevuto le visite dei familiari. Tutto ciò non è accaduto, i nostri fratelli in carcere rimangono nelle stesse condizioni», protestava ieri un uomo sulla quarantina presente al presidio. Alle sue spalle c’era la foto di Marwan Barghuti, il più noto dei detenuti di Fatah, accanto a quella di prigionieri di varie forze politiche palestinesi. I presenti hanno denunciato che diversi detenuti, per aver partecipato allo sciopero della fame, sono stati multati dalle autorità  carcerarie. Ad altri, ancora in condizioni fisiche precarie, verrebbe negata una adeguata assistenza medica.
Proprio il caso di un parlamentare di Fatah, Houssam Khader, molto popolare nel campo profughi di Balata e a Nablus, si è trasformato nella goccia che fa traboccare il vaso. L’accordo di metà  maggio prevedeva che non sarebbero stati rinnovati gli ordini di detenzione amministrativa. L’Alta Corte israeliana invece domenica ha rifiutato l’appello per porre fine alla detenzione di Khader, di un altro deputato Mohamed Natche (Hamas) e Hussein Abu Kweik. La decisione è stata accolta con rabbia in Cisgiordania e a Gaza. Khader (che in passato ha trascorso 9 anni in carcere), da quasi un anno è detenuto senza accusa né processo e avrebbe dovuto essere liberato il 1 giugno. «Israele aveva promesso di non estendere la detenzione di Houssam», ha protestato Jawal Boulos, avvocato del Club dei Prigionieri Politici, «così facendo ha negato l’accordo siglato il 14 maggio che ha posto fine allo sciopero della fame di oltre 1600 prigionieri politici».
Presto decine di detenuti potrebbero riprendere lo sciopero ed unirsi alla protesta di Mahmoud al-Sarsak, nazionale di calcio palestinese, Akhram Rikhawi e Mohammed Abdel Aziz. Il primo, che chiede di essere riconosciuto come prigioniero politico, ha iniziato lo sciopero della fame a marzo e ieri è entrato nel 71esimo giorno di protesta. Le sue condizioni di salute sono gravi, è soggetto a continui svenimenti ed a problemi di vista Rikhawi rifiuta il cibo da 48 giorni. I palestinesi hanno avvertito che la morte in carcere di uno dei detenuti in sciopero della fame finirebbe per scatenare una protesta popolare senza precedenti degli ultimi anni contro l’occupazione militare israeliana.

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