Taranto che soffoca

by Editore | 3 Maggio 2012 7:04

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TARANTO – Di «quell’angolo di mondo che più d’ogni altro m’allieta» – come scrisse nelle Odi Quinto Orazio Flacco – a Taranto è rimasta incollata addosso la bellezza dei tramonti, il gioco scintillante dell’acqua dei Due Mari che la avvolgono, la fierezza della gente di mare. Ma dietro questo velo si nasconde una città  che ha perso il bene più prezioso: la libertà  di essere libera e decidere del proprio destino. Stretta nella tenaglia mortale della grande industria (da fine 800 con l’Arsenale Militare della Marina) oggi rappresentata dai nomi grossi del panorama economico internazionale (Ilva, Eni, Cementir), ha visto negli anni andar via migliaia di giovani e ha pagato e continua a pagare dazio in vite umane per politiche scellerate che hanno sdoganato negli anni un inquinamento senza eguali.
A Taranto città  dei paradossi, contraddistinta dal suo dna di molle tarentum, domenica si torna a votare per le amministrative dopo una campagna elettorale da numeri record: 11 candidati sindaco con 32 liste in gara, un esercito che per qualche decina di comparse non tocca quota mille. 
«Tutti» con Stefà no pur di vincere
Ippazio Stefà no, sindaco uscente autoricandidatosi, venne eletto nel 2007 spinto dal vento di una nuova primavera «rossa» tarantina. Con una città  a rischio estinzione per il crac finanziario prodotto dalla precedente giunta di centrodestra, gli elettori affidarono il proprio destino al pediatra della porta accanto ed ex senatore, per provare a uscire dalle secche del debito finanziario e dall’asfissia dell’inquinamento. Dopo 5 anni però, le cose non sono cambiate. Il Comune ha ancora gran parte del debito da smaltire (quasi 300 milioni) e il rapporto con la grande industria non ha subito una svolta: unico «risultato» il rilascio, lo scorso 5 luglio, della procedura Aia (Autorizzazione integrata ambientale) all’Ilva. Salutata con giubilo da istituzioni, sindacati e Confindustria, ora la procedura sarà  riaperta per «volontà » del ministro dell’ambiente Clini, dopo le due maxi perizie presentate nell’inchiesta che la Procura di Taranto ha avviato contro l’Ilva per una serie di reati, tra cui quello di disastro ambientale. 
Il 37% ottenuto nel primo turno 5 anni, per Stefà no ora è un miraggio. Oltretutto dovrà  guardarsi le spalle anche dai franchi tiratori dei suoi più «stretti» alleati: come ad esempio il Partito democratico che si è fatto dettare la linea da Bari (Vendola) e da Roma (Bersani), rinunciando alle primarie e quindi obbligato ad appoggiare il sindaco uscente. Se poi aggiungiamo che Stefà no, oltre che dal Pd, sarà  appoggiato da Udc, Fli, Idv, Udeur, Api, Psi e da Sel, è evidente come da queste parti si voglia provare a vedere l’effetto che fa la grande coalizione. Certamente i problemi per Stefà no verranno più dall’interno che dal centrodestra. 
Quel che resta del centrodestra
Sono due le date del doppio tsunami che ha travolto il centrodestra tarantino. Quella del 17 febbraio 2006, quando l’allora sindaco Di Bello si dimise dall’incarico a seguito di una condanna (1 anno e 4 mesi, pena sospesa) per abuso d’ufficio e falso ideologico nell’ambito di un’inchiesta sull’affidamento della gestione dell’inceneritore cittadino alla società  Termomeccanica. La seconda, il 4 novembre 2011, quando morì Pietro Franzoso, deputato in carica del Pdl e vero padre padrone del centrodestra ionico, che nel 2004 fu arrestato con l’accusa di aver agevolato la malavita organizzata in cambio di favori elettorali, e nel 2007 venne assolto dal tribunale di Taranto. La prematura scomparsa de lu Pietru, unico in grado di tenere le briglie ai suoi, ha spento le speranze del centrodestra di tornare a essere competitivo. Ecco perché, dopo una serie di rifiuti e candidature sfumate, si è «scelto» di puntare su Filippo Condemi, avvocato, chiamato a limitare i danni.
Il fascino intramontabile di Cito
Guardando un po’ più a destra, però, c’è chi ancora oggi può recitare un «pericoloso» ruolo di primo piano. È Mario Cito, figlio del più famoso Giancarlo plurindagato e condannato ex sindaco ed ex parlamentare, tornato agli inizi di aprile in galera per una condanna in via definitiva della Cassazione per l’ennesima storia di tangenti. L’ex estremista di destra (nel 1979 venne espulso dal Msi per il suo estremismo), nonché precursore del «berlusconismo» (alla fine degli anni ’80 con il suo Canale 33, poi Antenna Taranto 6, infiammerà  gli animi) fa ancora molta presa in città . Alle ultime amministrative gestì la campagna elettorale del figlio candidato, riuscendo a fargli ottenere oltre 17 mila voti, sfondando la soglia del 15%, con il solo partito della Lega d’Azione Meridionale. Cinque anni dopo, con altre due condanne sulle spalle, Cito riprova a mettere nell’angolo la politica dei grandi partiti: con il figlio Mario che rappresenta il più accreditato sfidante di Stefà no. 
La scelta ambientale
Oltre al dissesto economico, è sull’ambiente che si gioca la vera partita. Ed è qui che Angelo Bonelli lancia la sfida. Il presidente della Federazione dei Verdi, ex parlamentare e attuale consigliere regionale del Lazio, è appoggiato dagli ambientalisti e da gran parte della borghesia tarantina. In molti lo ritengono il possibile avversario di Stefà no al ballottaggio, in una guerra all’ultimo voto con il giovane Cito.
Gli outsider
Altri 7 candidati completano il quadro. Dante Capriulo, ex Pd e assessore di Stefà no (in 5 anni sono 17 gli assessori cacciati) appoggiato da Rifondazione Comunista e dal Mjl, corre da solo dopo le primarie negate. C’è Patrizio Mazza, consigliere regionale in rotta con il suo partito, l’Idv, ematologo emiliano trapiantato qui da 20 anni, che ha fondato il movimento Cambiamo Taranto. Mimmo Festinante (ex Pdl ed ex pro Stefà no) del movimento Galesus, Luigi Albisinni per Taranto C’è, i giovanissimi Alessandro Furnari per le Cinque Stelle di Grillo e Massimiliano Di Cuia di Io Sud di Poli Bortone e l’unica donna in corsa, Felicia Bitritto Polignano, del movimento del presidente della provincia di Bari Schittulli. 
Un guazzabuglio incredibile dal quale uscirà  vincente, quasi certamente, Stefà no, che però dovrà  fare i conti con le pretese dei suoi tanti veri o presunti alleati. Con la grande industria che ringrazierà  ancora una volta una politica specchio di una città  ancora oggi troppo frammentata e poco fiera di sé stessa.

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