Stiamo tagliando il futuro

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Vedere che la disoccupazione giovanile esplode -da un già  inquietante 31% di pochi mesi fa al 36% di marzo 2012 – impone di cercare risposta alla domanda che viene subito alla mente: non sarà  che con la «riforma» che ha portato l’età  pensionabile a 67 anni questo governo – sempre pronto a riempirsi la bocca con «lo facciamo per i giovani» – ha di fatto precluso l’ingresso nel mondo del lavoro ad almeno quattro-cinque scaglioni di «coscritti»?
Per Roberto Pizzuti, docente di politica economica a Roma, «è evidente e accertato il legame tra aumento dell’età  pensionabile e disoccupazione, soprattutto giovanile». Del resto, «se c’è un certo numero – già  insufficiente – di posti di lavoro, e riduci all’improvviso il turnover, quei posti non possono essere occupati da altre persone». Ma c’è di più: «è una cosa che danneggia anche le aziende, perché i lavoratori anziani costano di più, sono mediamente meno istruiti e inevitabilmente meno reattivi all’innovazione». Una politica di questo tipo «in questo momento è un autogol, vengono ridotti i redditi e la domanda quando dovrebbe invece essere sostenuta». 
Giovanni Mazzetti, docente di economia politica, agginge una considerazione ulteriore: «se si è capaci di creare lavoro aggiuntivo, puoi anche lasciare sul posto gente che potrebbe andare in pensione; ma se non lo sai fare – e tutte le società  avanzate non sono più capaci di crearne di nuovo – allora devi mandar via con soluzioni decorose quelli che hanno lavorato già  un bel po’ (senza fare quei pasticci orrendi sugli ‘esodati’), e sostituirli con dei giovani».
L’obiezione del governo è nota: se si fossero lasciati andare in pensione quelli che avevano già  maturato i requisiti «sarebbero saltati i conti Inps». Non è vero nemmeno questo, spiega Pizzuti (tra l’altro ex membro del cda Inpdap), «tutto il sistema pensionistico pubblico è da anni in attivo di 26 miliardi e contribuisce ai conti pubblici nella proporzione di una grande finanziaria ogni anno; è solo una scelta politica di colpire queste fasce, perché danno un’entrata certa e sono facili da colpire». 
Se usciamo dal piano generale della macroeconomia e andiamo a vedere cosa accade nei diversi settori produttivi, la valutazione non cambia, ma assume una concretezza davvero drammatica. «Noi vediamo che la crisi non solo non passa, ma si acuisce – spiega Laura Spezia, segretario nazionale Fiom – Molte aziende chiedono ‘esuberi’ e finiamo a discutere di fatto di ‘esodati’». Perché «la riforma del mercato del lavoro non va certo nella direzione di favorire le assunzioni dei giovani». Dopo l’aumento dell’età  del ritiro, infatti, «si prevede di ridurre gli ammortizzatori sociali nel tipo e nella durata; di fatto vengono rigettati sul mercato lavoratori che potrebbero e dovrebbero andare in pensione». E non è vero neppure che le aziende abbiano «tanta voglia di assumere giovani; basta guardare le reazioni della Marcegaglia e non solo all’ipotesi di restringere appena un po’ la ‘flessibilità  in entrata’». La precarietà  conclude – «è rimasta tale e quale, disoccupazione è aumentata; ora che vanno a scadenza gli ammortizzatori che sono stati concessi per le crisi degli ultimi anni esploderà  con grandi numeri». Tanto più se andrà  in porto la nuova «riforma»…
«Il fenomeno più preoccupante dice Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil – è la perdita di senso del sistema istruzione. Diplomati e laureati vengono buttati nella disperazione proprio quando il paese ne avrebbe più bisogno; si rischia una perdita totale di credibilità  del sistema, che nel frattempo non è più nemmeno gratuito, negando il diritto allo studio. Questo è un paese che rinuncia al futuro, a partire dal governo Monti che non fa nulla per invertiore la tendenza».
L’ultima conferma arriva dal pubbblico impiego, ora sotto la lente della spending review. «Qui il turnover è bloccato da 7-8 anni», racconta Massimo Betti, Usb. «E già  stiamo affrontando il problema di circa 100.000 dipendenti che vengono dichiarati in esubero. 65.000 dalle Province, diecimila dal personale civile della Difesa e 30.000 militari». Ma anche al ministero degli Interni si prepara un taglio «del 10% del personale». Per i «pubblici» c’è la mobilità  per due anni, all’80% dello stipendio; poi, se non possono essere ricollocati in altro comparto o sede, c’è il licenziamento. La spending review punta a eliminare 4,2 miliardi di spese subito; ma «prima di nominare Bondi, Monti aveva illustrato tagli per 25-27 miliardi». Se ci si aggiunge la «delega» data a Patroni Griffi per applicare anche qui il «nuovo» art. 18, dice Betti, «diventa possibile licenziare per motivi economici praticamente tutti i 3,5 milioni di dipendenti. ‘Per Costituzione’, visto che hanno inserito l’obbligo al pareggio di bilancio». 
Insomma: la crisi crea disoccupazione, ma il governo ci mette molto di suo…


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