by Editore | 29 Maggio 2012 7:27
BEIRUT – «Noi non sosteniamo il governo siriano. Noi sosteniamo Kofi Annan», puntualizza il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, con un’espressione che, se fosse inedita, farebbe pensare a una certa presa di distanze nei confronti del regime di Damasco. In realtà , non è la prima volta che il capo della diplomazia russa si dissocia dai comportamenti del vertice siriano e dello stesso presidente Assad. Ma, nella sostanza, Lavrov si limita a sollecitare l’apertura di un’inchiesta che faccia luce sul massacro di Hula «a cui – dice, bilanciando le parole – hanno manifestamente partecipato le due parti», in conflitto.
All’indomani della dichiarazione di condanna approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza nei confronti del governo siriano, ci si chiede se le agghiaccianti immagini della strage di civili nel paesino a 25 chilometri da Homs abbiano avuto l’effetto di scuotere la diplomazia internazionale dal suo immobilismo. E naturalmente gli obbiettivi sono puntati soprattutto sulla Russia e sulla Cina che, adoperando il loro potere di veto, hanno sostanzialmente offerto al regime di Damasco protezione e spazi di manovra nei confronti della comunità internazionale.
Ora, se i fatti di Hula e la condanna che ne è seguita, una condanna, va ricordato, unanime ma «non vincolante», ha cambiato qualcosa nell’atteggiamento di Mosca e Pechino verso la crisi siriana, si tratta di sfumature. La diplomazia cinese non ha risparmiato aggettivi. «La Cina – ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Liu Weimin – si sente profondamente scioccata da un così gran numero di vittime civili» e condanna fermamente «la crudele uccisione di comuni cittadini, specialmente donne e bambini».
Più complesso, ma anche più tendenzioso, il ragionamento di Lavrov. La Russia crede che entrambe le parti possano aver avuto un ruolo nel massacro. E da qui la richiesta di un’indagine approfondita. Ma le frecciate più velenose, il ministro degli Esteri russo le scaglia contro certi partner internazionali, i cosiddetti «attori esterni» che accusa di doppiezza. Anche se non fa nomi Lavrov si riferisce a quei Paesi che non cercano una soluzione pacifica della crisi siriana ma «un cambiamento di regime». Oppure a quei Paesi che «parlano all’opposizione con un linguaggio diverso dal nostro». In pratica, incoraggiando la militarizzazione della rivolta, contro cui la Russia si oppone.
Tuttavia, tanto per la Russia quanto per la Cina non c’è altra strada percorribile che quella tracciata nella proposta di pace presentata dall’ex segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Il piano in sei punti cui si deve la tregua proclamata il 12 di aprile e l’istituzione degli Osservatori. Ma che lì si è fermato, travolto dagli scontri proseguiti sul terreno, criticato dalla stessa opposizione siriana, messo in discussione da alcuni dei protagonisti che pure lo avevano approvato, come gli Stati Uniti. Un piano che adesso la Russia vorrebbe soccorrere con misure tutte da inventare.
Altro non c’è, al momento, sulla scena diplomatica. È così che lo stesso Kofi Annan è volato ieri a Damasco per tentare di rilanciare il progetto che porta la sua firma convincendo il vertice siriano a fare quello che non ha fatto finora: dimostrare «che è serio nell’intenzione di risolvere la crisi pacificamente». Prudentemente, Annan, che non ha nascosto la sua emozione di fronte alla carneficina di Hula, definita come un «crimine spaventoso», ha esteso il suo messaggio di pace «a tutti quelli che portano le armi», dunque anche all’opposizione.
La situazione sul campo, tuttavia, non permette illusioni. Dopo i 108 morti di Hula, ieri fonti della rivolta siriana hanno denunciato altre 41 vittime di bombardamenti dell’artiglieria dell’esercito regolare contro alcuni quartieri di Hama, città martire di un’altra rivolta, quella del 1982, contro il regime allora guidato da Hafes el Assad, padre dell’attuale presidente.
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