SE BASTA UNA VACANZA A RACCONTARE LA VITA

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Bugiarda è una bella giornata di sole più di ogni altra cosa. Bugiardo il mare, e le vacanze. Uno li insegue per trascurarsi o per ricordarsi di sé, per asciugare certi dolori che ci si porta dentro. Che cos’è agosto se non questo. Andrea al mare ci va con Marta, quasi sua moglie, incinta, si stanno regalando l’ultima estate prima che arrivi una bambina a cambiare il loro mondo. Luisa invece è partita solo per il gusto di starsene seduta sul bagnasciuga, in un pugno tiene la sabbia, la fa cadere per capire se soffia il vento. E gli altri là , lontano. Ricardo al mare ci lavora, bello scuro scalzo, al ritmo dei balli latino americani. Così come Dashenka che tiene compagnia ai vecchi, mentre Carlos apre sdraio e ombrelloni, guarda gli altri scottarsi. 
Arrivano chi dall’Emilia chi da Napoli, da Kiev, dal Venezuela. Nell’arco di una giornata di sole acceso, il 9 agosto di uno qualunque di questi anni Duemila e passa, vanno a sbattere gli uni contro gli altri, animatori e ospiti del desolato residence La Riserva, nel sud Italia. È qui che Raffaella R. Ferré ambienta il suo Inutili fuochi (ed. 66thand2nd), roulotte e bungalow, gabinetti che puzzano di disinfettante e suole di gomma, balconate con le crepe. Le sterpaglie, la rotonda, il free bar. Vite stipate dentro uno spazio squallido, tiri una riga e si spalanca finalmente il mare. Un qui e un là , in mezzo incontri e fantasie scanditi in otto fasce orarie, una per capitolo. Si comincia alle 14.40, la controra, la siesta napoletana, territorio di ombre e fantasie che non va abitato con occhi aperti; si finisce alle 20 in una pagina colorata di un triplo rosso: un tramonto, un lampadario, un falò.
Un giorno in un residence. Uno spazio sommario e un tempo compresso che bilanciano la complessità  dei personaggi (una quattordicenne e sorprendente Lia, dei bambini senza nome, una enigmatica Tu) e soprattutto la pluralità  delle voci narranti: i loro monologhi interiori si sovrappongono, la terza persona si scioglie nella prima. Un romanzo, il terzo di Raffaella R. Ferré, che si legge con un senso di intimidazione addosso, c’è sempre un pericolo imminente tra quelle relazioni che «hanno la data di scadenza di due settimane al massimo, poi si torna tutti a casa, tutti a non conoscersi». È la sintesi di una instabilità , tema carissimo alla scrittrice campana di 29 anni: il suo esordio fu Santa precaria (Stampa Alternativa, 2008), a un suo testo diede voce l’attrice Isabella Ragonese sul palco di “Se non ora quando”. 
Stavolta c’è di più. Inutili fuochi è un romanzo potente sulle risposte che non arrivano mai, mentre «nessuno conosce veramente nessuno». Non sarebbe neanche grave se «la solitudine, una volta che la impari, è roba facile». Il punto vero è sapere chi sei, x o y. Un libro sulla ricerca di un’identità . Emana stupore. Il centro, se ce n’è uno in un romanzo elastico come questo, è il fallimento di Andrea, che di cognome fa Limoni, regista splatter di discreto successo con i primi due film, sterile nella scrittura del terzo. Lo paralizza un segreto che non sa far diventare né ispirazione né rimorso. 
In più di una pagina, Raffaella R. Ferré accarezza tinte e suggestioni parallele al Ferito a morte di La Capria. Il mito della bella giornata, la narrazione sfoltita e sfumata per istantanee, l’impalcatura teorica (paratassi, polifonia), la lingua violenta e allo stesso tempo asciutta. Se il romanzo del ‘61 raccontava la Grande Occasione Mancata di Massimo De Luca, ora Andrea Limoni da un’occasione sprecata viene travolto, pure lui lungo il confine fra la giovinezza che non c’è più e la maturità  che non c’è ancora. Alla fine, dice Ferré, un solo fuoco è abbastanza, e sta al centro del petto. «Vi ricorderà  tutti i giorni che ci sono cose che non avete mai detto a nessuno, anche quando dovevate».


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