SCRITTORI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI: DA DOVE COMINCIARE PER AVERE UN SISTEMA LETTERARIO COMUNE
È da un po’ di tempo che mi ritrovo spesso a commentare con amici scrittori di diversi paesi un fatto evidente, che merita attenzione: non c’è dubbio che, almeno dal Medioevo, esista una letteratura europea, ma è altrettanto indubbio che non esiste un sistema letterario europeo. Voglio dire che, per quel che mi riesce di vedere, in Europa non c’è una forma comune di diffusione e promozione della letteratura. Per esempio, il modello francese (con il suo schiacciante accumulo di novità e di premi letterari durante la rentrée e con il forte peso dei librai indipendenti) non ha nulla a che vedere con quello inglese (caratterizzato dall’ormai totale assenza di librai indipendenti e dalla sua dieta letteraria praticamente autoctona o limitata agli scrittori che scrivono in inglese, salvo felici eccezioni) né con quello spagnolo (con la sua forte dipendenza da premi commerciali per opere inedite, ignoti in qualunque altro paese). Ma non si tratta soltanto di questo. Non esistono nemmeno riviste o supplementi letterari di rilevanza europea, né dibattiti letterari di portata europea, né valori letterari né nulla di remotamente simile a una società letteraria europea, anche se qui e là ci sono festival o fiere o eventi dove di tanto in tanto gli scrittori europei si riuniscono. Naturalmente, immagino che esistano scrittori europei – scrittori seri relativamente ben conosciuti e ragionevolmente letti nella maggioranza dei paesi europei – ma temo che siano molto pochi e dubito che, forse con l’eccezione della Gran Bretagna, ci siano molti paesi che possano fornire più di uno o due nomi a questo ridottissimo elenco. Esistono storie della letteratura europea? Esistono, sì, ma pochi le leggono, e comunque quasi non si studiano a scuola, sicché è come se non esistessero.
Insomma, questa situazione ha molte spiegazioni ovvie in un continente diviso da frontiere e diffidenze secolari, in cui si parlano più di duecento lingue e dove nell’ultimo millennio non sono trascorse due settimane senza che i suoi abitanti praticassero il loro sport preferito: la guerra. Ma forse tutto ciò non ha molta importanza, almeno dal punto di vista di un semplice scrittore: in fin dei conti, il nostro mestiere consiste nel conquistare senso attraverso le parole; in quella missione lo scrittore è solo, e il sistema letterario può fare poco per aiutarlo. O forse non così poco: dopo tutto, non è la stessa cosa se uno scrittore può guadagnarsi da vivere con ciò che scrive o se non ci riesce e deve dedicare tempo ed energie a lavori subalterni; allo stesso modo, non è la stessa cosa se uno scrittore può alimentarsi di libri di autori che gli interessano e discutere idee che lo ossessionano o se non può farlo. Comunque, che abbia o non abbia importanza, il fatto è che non esiste un sistema letterario europeo. Ed è un fatto che, come ho già detto, merita attenzione. Siamo in molti a pensare che l’Europa sia l’unica utopia ragionevole che noi europei abbiamo inventato; di utopie insensate – paradisi teorici trasformati in inferni reali – ne abbiamo elaborate un bel po’, ma di utopie ragionevoli solo questa: quella di un’Europa unita. È vero che negli ultimi decenni si sono compiuti passi importantissimi in diversi ambiti – soprattutto in quello economico, molto meno in quello politico – che conducono alla realizzazione di quella utopia, ma non se n’è fatto nessuno nell’ambito della letteratura, o in quello dell’unione o dell’avvicinamento tra i diversi sistemi letterari. Non si tratta, naturalmente, di cercare un’unione assoluta, né tanto meno un’uniformità , ma piuttosto di raggiungere una permeabilità e una comunicazione più profonde tra le diverse letterature che conformano il continente, in modo che si arricchiscano e si fecondino reciprocamente, procedendo così verso ciò che dovrebbe essere l’Europa unita: un continente che si riconosce nella profonda unità della sua diversità .
Si può fare qualcosa per raggiungere questo obbiettivo? Non lo so. Tuttavia, se guardo al recente passato, la cosa più simile a un impulso o a una vocazione europeista sono stati due premi creati per iniziativa dell’editore spagnolo Carlos Barral e sostenuti da editori come l’italiano Giulio Einaudi, il francese Claude Gallimard, il tedesco Heinrich Ledig-Rowohlt, il britannico George Weidenfeld o il nordamericano Barney Rosset: il premio Formentor e il Prix International de Littérature. Sono stati due premi fugaci, ma importanti: il primo, un premio a un’opera inedita che assicurava la sua traduzione simultanea in tredici paesi, fece conoscere, tra gli altri, Jorge Sempràºn; il secondo, un premio a un’opera edita che venne concepito come una specie di alternativa al Nobel, contribuì notevolmente alla diffusione internazionale di scrittori come Borges, Beckett o Gombrowicz. Nulla di simile esiste oggi in Europa, e forse è impossibile aspirarvi. Che io sappia, la cosa più simile a un premio europeo su cui possiamo contare oggi è il Prix du Livre Européen, concesso ogni anno dal 2007, a Parigi, dall’associazione Esprit d’Europe a due libri, uno di fiction e uno di saggistica. Tuttavia, nonostante il prestigio della giuria che lo assegna (l’ultima è stata presieduta da Julian Barnes), non sembra che il premio abbia goduto di una grande ripercussione, o almeno non sembra che abbia goduto di una ripercussione europea, che è ciò che ci si sarebbe aspettati da un premio europeo. Perché ciò accada sarebbe forse necessario che venisse coinvolta la stessa Unione europea, creando così, nel più felice dei casi, il germe di un sistema letterario comune, di una sorta di unione europea che, oltre a essere economica e politica, sia anche letteraria. Da qualcosa bisogna pur cominciare.
Traduzione di Bruno Arpaia
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