Sanità e istruzione, maxi-tagli per decreto
Il conservatore Partido popular , forte della maggioranza assoluta, non ha accolto la richiesta delle opposizioni di trasformare i decreti in disegni di legge: una possibilità che avrebbe consentito qualche modifica allungando i tempi della discussione. Ma in tempi di crisi non si può perdere tempo: si governa a colpi di decreto. E non importa se, come denunciano tutti i gruppi di minoranza, le modifiche introdotte incidano in profondità sul modello universalistico e gratuito dei servizi pubblici, sancito dalla Costituzione: l’urgenza dell’austerità ammette che si possa disattendere per decreto anche la Legge fondamentale. I «risparmi» nel capitolo dell’istruzione ammontano complessivamente a quasi 5 milioni, se si sommano anche quelli previsti dalla finanziaria: per un governo in carica da fine dicembre significa un taglio-record di un milione al mese. Per ottenere una simile «razionalizzazione della spesa» ci saranno più alunni per aula, i professori faranno più ore in classe, gli istituti dovranno chiamare meno supplenti e gli studenti universitari pagheranno tasse più alte. Sul versante della sanità , lo Stato diminuirà le uscite per un totale di oltre 7 milioni: addio esenzioni dal pagamento di farmaci per le categorie deboli, chiusura di ospedali e ambulatori, e niente più assistenza (salvo pronto soccorso) per gli immigrati irregolari. Misure del genere si ripercuoteranno anche sull’occupazione: secondo i sindacati, perderanno il lavoro 40 mila insegnanti precari e migliaia di operatori del settore sanitario, dagli infermieri agli addetti alle pulizie. In un Paese con oltre il 24% di disoccupazione, piove sul bagnato. Ma i tagli non finiscono qui. Lo stesso giovedì, l’organismo che riunisce il Ministro e i consiglieri delle finanze delle Comunità autonome (una specie di Ecofin iberico) ha varato il piano di risanamento dei conti delle regioni, da tempo considerate delle autorità europee le vere responsabili dell’aumento del disavanzo pubblico. Un’interpretazione fatta propria dal governo centrale, in un evidente gioco allo scaricabarile. Risultato: le regioni dovranno complessivamente ridurre di oltre 13 milioni di euro le uscite e aumentare di oltre 5 milioni le entrate, per raggiungere l’obiettivo di deficit previsto per quest’anno. Di fronte all’ondata di «austerità » non mancano dissenso e resistenza sociale. Il Governo, come ovvio, non gradisce. E adotta contromisure: per rafforzare l’incessante propaganda all’insegna del «non c’è alternativa ai necessari sacrifici», ora può nominare il Cda della tv di stato senza dover trovare un accordo con le opposizioni. Grazie ad un altro decreto convertito in legge, infatti, per designare i vertici del servizio pubblico radiotelevisivo non servono più i due terzi del parlamento, ma basta la maggioranza assoluta. Guarda caso, quella che ha il Partido popular .
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