Rinviata di quindici giorni l’estradizione di Julian Assange
La Corte Suprema inglese ha sì votato a maggioranza – cinque voti contro due – per l’estradizione, ma i difensori del fondatore di Wikileaks hanno sottolineato che nella sentenza si fa riferimento a una norma della Convezione di Vienna – una serie di trattati che regolano i rapporti tra gli stati – che non era mai stata discussa durante il processo, chiedendo così quindici giorni per studiarla e eventualmente fare nuovamente ricorso.
L’affaire di Julian Assange sta diventando una matassa sempre più difficile da sbrogliare. Da una parte c’è l’attività di Wikileaks, che ha diffuso in Rete «materiali sensibili», cioè coperti dal segreto, sull’uccisione di civili e giornalisti da parte dell’esercito Usa nella guerra in Iraq, Afghanistan, nonché i cablogrammi spediti dalle ambasciate statunitensi al dipartimento di stato. Documenti e video che hanno messo in forte difficoltà gli Stati Uniti nei rapporti con altri Stati. Dall’altra parte, però, c’è l’accusa ad Assange di violenza sessuale. Accusa respinta dal fondatore di Wikileaks e che l’ha spesso ritenuta un tassello di un complotto americano per screditarlo. Assange ha inoltre sottolineato che l’estradizione in Svezia è il primo passo per poi estradarlo negli Stati Uniti, dove deve rispondere dell’accusa di attentato alla sicurezza nazionale.
I quindici giorni conquistati ieri possono essere considerati una piccola vittoria da parte di Assange, ma non risolvono il problema del «che fare» se la Corte suprema inglese autorizzerà l’estradizione, dopo il suo arresto per un mandato di cattura internazionale emanato dalla polizia svedese. Assange ha sempre sostenuto che rispetterà le decisioni della magistratura londinese, ma negli ultimi mesi molti attivisti e intellettuali – in Ibnghilterra si è formato un comitato di sostegno ad Assange che vede tra le sue file molti scrittori e registi, tra i quali Ken Loach – hanno scritto in Rete o sui giornali che Assange ha tutto il diritto di sottrarsi a una decisione sbagliata. Quasi un invito alla fuga.
Un altro aspetto che è invece emerso da quando è stato arrestato – attualmente è agli arresti domiciliari – è la difficoltà di Wikileaks a continuare ad operare. Gran parte dei conti bancari sono stati bloccati, determinando così l’interruzione della diffusione dei materiali in suo possesso. Gli Stati Uniti hanno inoltre chiesto, senza ottenerlo, a Twitter di bloccare i messaggi che vengono da Wikileaks. Ma è indubbio che da alcuni mesi a questa parte, Wikileaks si fa «vedere» in Rete sempre meno. E quando lo fa si limita ad invitare a fare donazioni economiche. Infine, il gruppo di hacker Anonymous non ha più compiuto azioni di solidarietà , elemento interpretato come un «raffreddamento» se non una presa di distanza di Anonymous da Wikileaks. Tutto ciò, però, non significa che Assange sia finito. Altre volte è caduto nella polvere, per poi riapparire più agguerrito nella sua battaglia contro il segreto di stato.
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