by Editore | 28 Maggio 2012 4:39
ROMA – Retromarcia del governo. I magistrati continueranno a essere giudicati dai magistrati e non dai «politici» eletti al Csm. La mezza rivoluzione in cantiere a Palazzo Chigi, scritta dal sottosegretario Antonio Catricalà , torna in ghiacciaia. Viene stoppato il tentativo di riformare il delicato meccanismo che sovrintende ai processi disciplinari tra le toghe e che avrebbe fatto pendere dalla parte dei “laici” del Consiglio superiore della magistratura la bilancia del potere decisionale.
Trascorre mezza giornata dall’anticipazione ieri su Repubblica della notizia relativa al progetto che sta prendendo corpo: un provvedimento in quattro articoli in procinto di approdare in Consiglio dei ministri. E destinato a ridisegnare la giustizia disciplinare in una direzione troppo in linea con i desiderata e i progetti di legge del precedente esecutivo Berlusconi-Alfano.
La marcia indietro viene annunciata a ora di pranzo da Palazzo Chigi e prende spunto proprio dalla notizia pubblicata sul piano: «Il Presidente del Consiglio aveva già da tempo ritenuto tale iniziativa inopportuna e non percorribile, escludendola conseguentemente dai provvedimenti all’esame del Consiglio dei Ministri» si afferma in una nota. In cui si rivela anche come Monti avesse accolto, e «pienamente condiviso» a tal proposito il parere negativo pervenuto pure dal ministro della Giustizia, «ritenendo impossibile una simile riforma attraverso legge ordinaria anziché costituzionale». Discorso chiuso, insomma. E il suggello arriva dal vice presidente del Csm, Michele Vietti, che plaude alla presa di posizione della presidenza del Consiglio, facendo notare come la «bocciatura sgombra il campo da pretestuosi elementi di turbativa nei rapporti istituzionali che vedono in questo momento il Consiglio impegnato a sostenere lo sforzo di ammodernamento del sistema giudiziario. Il tema disciplinare è infatti da tempo al centro di un ampio dibattito che non esclude ulteriori interventi riformatori, ma nel contesto di provvedimenti organici, ampiamente condivisi e con soluzioni compatibili con i principi di autonomia e indipendenza della magistratura». Vietti, citando Napolitano che è presidente del Csm, difende il lavoro della sezione disciplinare dell’organo di autogoverno delle toghe, un lavoro «caratterizzato da prontezza e accresciuta severità , che smentisce frettolosi giudizi sul suo operato».
Ma la sterzata del governo lascia più che perplesso Antonio Di Pietro. L’ex pm fa notare come «la presidenza si è decisa a smentire molte ore dopo l’anticipazione: meglio tardi che mai. Tuttavia, il solo fatto che un progetto di tale enormità sia stato preso in considerazione dal governo, salvo poi essere giudicato inopportuno, è per me molto inquietante». Il leader Idv insomma non crede all’«equivoco» o alla «svista». Ancor meno il responsabile giustizia del partito, Luigi Li Gotti, secondo il quale si è trattato di una tentata «vendetta della politica, così spesso messa sotto accusa dai magistrati». Prende di mira il Guardasigilli Severino: «Sta dimostrando la sua vocazione per nulla tecnica o, comunque, da tecnico che, tra qualche mese, tornerà a svolgere la professione di difensore per l’abituale clientela molto politica». La riforma che avrebbe voluto portare la composizione della sezione disciplinare del Csm – competente sui processi interni a carico dei magistrati – a tre laici (eletti dal Parlamento) e tre togati, richiamava l’analogo vecchio testo fatto approvare nel marzo 2011 in Consiglio dei ministri dall’allora Guardasigilli Alfano.
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